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Scuole di specializzazione, selezione a quiz a risposta multipla e mancata unicità nella risposta. TAR: la valutazione dei quesiti non è sindacabile

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Con sentenza non definitiva n. 9402 del 19 settembre 2018, il TAR Lazio ha stabilito che, in tema di valutazione dei quesiti per aspiranti specializzandi in medicina, la Commissione di concorso formula un giudizio tecnico discrezionale espressione di puro merito non sindacabile in sede di legittimità, salvo che esso risulti viziato ictu oculi da macroscopica illogicità, irragionevolezza, arbitrarietà o travisamento del fatto. Una discrezionalità non sindacabile neanche quando i concorrenti della procedura di selezione lamentino, con riguardo ai quiz preselettivi, la mancanza di unicità nella risposta. Ma vediamo nel dettaglio la questione sottoposta all'attenzione dei Giudici amministrativi. I ricorrenti, laureati in medicina, hanno partecipato alla procedura concorsuale per l'ammissione alle scuole di specializzazione in medicina per l'area medica e chirurgica. Essi contestano, tra gli altri motivi, le modalità di svolgimento delle prove e l'esattezza della risposta indicata come corretta tra quelle proposte nei singoli quesiti a risposta multipla. In buona sostanza, a loro parere, il sistema di selezione in esame è viziato in quanto:

  • non sussiste un'unicità in riferimento alla risposta esatta ai quesiti;
  • non risulta che i test sottoposti ai candidati siano stati assoggettati a procedure di validazione e analisi, come avviene negli altri ordinamenti, quale quello americano o inglese;
  • contrasta con l'art. 34 Cost., ossia con il diritto allo studio e all'istruzione.

Per tutte queste ragioni, il caso è giunto dinanzi al TAR. I Giudici di legittimità, in riferimento alla questione della mancanza di unicità di risposta, rilevano che, con riguardo ai concorsi pubblici, la pubblica amministrazione quando stabilisce i parametri di valutazione e quando deve giudicare gli esiti delle prove, dei test o dei quesiti, non pone in essere un contemperamento degli interessi in gioco, ma svolge un'attività frutto del suo potere discrezionale. Infatti, in tali ipotesi, l'attività in oggetto è finalizzata in concreto a stabilire l'idoneità tecnica, culturale ovvero attitudinale dei candidati, sia in merito al momento dell'individuazione dei criteri di massima per la valutazione delle prove, che in merito al momento delle valutazioni espresse dalla commissione giudicatrice. 

  Con l'ovvia conseguenza che detta attività risulta sottratta alla sindacabilità in sede giurisdizionale, a meno che non si verifichi una disfunzione amministrativa, ossia il potere discrezionale non risulti viziato per irragionevolezza, irrazionalità, arbitrarietà o travisamento dei fatti (Consiglio di Stato, Sez. IV, 20 dicembre 2017 n. 5982; Consiglio di Stato Sez. IV, 30 agosto 2017 n. 4107; cfr. in terminis anche questo Tribunale : T.A.R. Lazio - Roma sez. I 5 giugno 2017 n. 6532; conforme, T.A.R. Puglia - Bari, Sez. I 17 febbraio 2015 n. 256). Né tale ragionamento può essere confutato dal fatto che il test in esame non sia stato sottoposto alle procedure di validazione, ossia ad apposita analisi, come avviene negli altri ordinamenti stranieri (allorquando si parla di test di particolare rilevanza). E ciò in considerazione del fatto che, secondo il TAR, la questione di un'analisi di questo tipo è irrilevante, perché la normativa straniera che impone la sottoposizione dei test alla validazione, non costituisce un parametro di riferimento per risolvere casi assoggettabili al diritto italiano. Ne consegue che per tal verso, le doglianze dei ricorrenti appaiono prive di fondamento. Altrettanto privo di fondamento è l'ulteriore assunto dei predetti ricorrenti concernente la contrarietà del sistema di selezione in oggetto ai diritti costituzionalmente garantiti, quali quello allo studio e all'istruzione. In particolare, questi assumono che la procedura selettiva di cui stiamo discorrendo rientra tra quelle cosiddette ad imbuto, ossia consistente una prova d'esame costituita da test a quiz, comune a tutte le discipline e una prova specifica su 40 quesiti, di cui 30 afferenti all'area in cui è ricompresa la scuola di specializzazione a cui si aspira e 10 afferenti proprio a quest'ultima.

La discrasia tra l'esorbitante numero dei medici che presentano domanda di accesso al concorso in questione e quello ridotto che, superandolo, viene ammesso a frequentare i corsi di specializzazione retribuiti, costituirebbe, secondo i ricorrenti, espressione di uno sbarramento al diritto allo studio, contrario all'art. 34 Cost. E tanto perché, i limiti posti da questo tipo di procedura selettiva interromperebbero la continuità formativa tra laurea in medicina e specializzazione: laurea questa che da sola non è idonea a garantire l'accesso al mondo del lavoro. Orbene, secondo il TAR, tale assunto non è fondato in quanto il diritto allo studio e quello all'istruzione non possono ritenersi lesi dal momento che:

  • i concorrenti di questo tipo di procedure devono aver già conseguito la laurea e l'abilitazione all'esercizio della professione medico-chirurgica;
  • la sussistenza di quest'ultimo requisito (l'abilitazione) è necessaria per l'ammissione alla frequenza dei corsi di specializzazione, dovendo essere stata conseguita se non al momento della presentazione dell'istanza di ammissione al concorso o alla scadenza del relativo termine, al più tardi prima dell'inizio dei corsi;
  • la specializzazione post-universitaria consiste in un segmento del percorso di istruzione, che presuppone la già avvenuta istruzione.

Con l'ovvia conseguenza che la selezione universitaria in questione non può ritenersi incostituzionale e illegittima. E ciò neppure con riferimento al fatto che, secondo i ricorrenti, essa miri ad espellere i non vincitori dal circuito formativo e lavorativo. In punto, il TAR afferma che la selettività e l'intrinseca valenza escludente lamentata dai ricorrenti, quando è finalizzata all'ammissione a posti di pubblico impiego, è connessa alla valutazione della copertura finanziaria stante l'esiguità e il contingentamento delle risorse pubbliche. In tali casi, per comprendere se la riduzione del numero dei posti operata dalla pubblica amministrazione sia il frutto dell'esercizio di un eccesso di potere per difetto di istruttoria del Comitato prezzi e rimborso, il soggetto che lamenta tale difetto dovrebbe fornire idonei elementi di prova. Tornando al caso in esame, i Giudici amministrativi rilevano la circostanza che i ricorrenti non hanno offerto alcun indizio in ordine a tale assunto, con l'ovvia conseguenza che, anche per tal verso, il ricorso risulta infondato. Alla luce delle considerazioni sin qui svolte, pertanto, il TAR ha respinto le domande introduttive dei ricorrenti, riservandosi di decidere sui motivi aggiunti. 

 

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