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Scuola, non uno di meno. La dispersione è uno spreco che fa male a noi tutti

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Captare i segnali d'allarme, dalle troppe assenze ai brutti voti e rendere la didattica coinvolgente. Perché non basta trasmettere nozioni: occorre intercettare i bisogni e le passioni dei giovani. Sembra un concetto scontato, ma non lo è per il 13,8% dei ragazzi italiani che abbandonano la scuola prima del diploma e vanno ad aumentare il numero dei Neet, gli oltre 2 milioni di giovani che non studiano né cercano lavoro. I picchi si registrano intorno ai 16 anni, età limite dell'obbligo scolastico. La conseguenza? 

Uno spreco di risorse ed energie che fa male non solo ai ragazzi ma a tutta la società, perché produce disoccupazione e acuisce le disuguaglianze. I dati del Miur registrano però una prima diminuzione: nel 2006 era il 20,8% a mollare gli studi. Da quando è stata istituita una cabina di regia, il fenomeno è monitorato e si conoscono le zone a rischio (periferie urbane e Sud in particolare). L'Unione europea indica la lotta alla dispersione scolastica fra gli obiettivi chiave di Europa 2020: ogni Paese Ue dovrebbe avere un indice di dispersione scolastica non superiore al 10%. Stiamo invertendo rotta? Alcuni istituti cominciano a elaborare piani di contrasto e prevenzione. Ogni storia di abbandono infatti si può intercettare. Perché è preceduta da una storia di dispersione, cioè assenze ripetute, disinteresse, basso rendimento, brutti voti e bocciature La situazione è peggiore nei contesti svantaggiati del Sud, dove le scuole primarie non hanno il tempo pieno e i ragazzini restano in strada tutto il pomeriggio. Servono fondi, strutture, personale e volontà per tenere gli istituti aperti tutto il giorno.. Il tempo pieno al Sud, che sarebbe il primo argine all'abbandono, è ancora un miraggio per 9 bambini su 10. Le strategie per contenere dispersione e abbandono hanno un unico denominatore: considerare la scuola un patrimonio e una responsabilità di tutti, non solo degli insegnanti ma della comunità circostante, fatta di genitori, associazioni, imprese ed enti. Bisogna fare in modo che città e quartieri entrino sempre più in relazione con le scuole perché queste diventino poli di attrazione: non basta che trasmettano conoscenze, devono intercettare i nuovi bisogni formativi e le inclinazioni individuali.

Maria Di Benedetto 

Docente all'I.C. "Portella delle Ginestre" di Vittoria (RG)

 

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