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Scioglimento Consiglio Comunale per infiltrazioni mafiose, CdS ricostruisce presupposti e condizioni

Con sentenza 24 Febbraio 2016 n. 748, il Consiglio di Stato ha ribadito, anche sulla scorta della propria giurisprudenza, una serie di principi a proposito dei presupposti e delle condizioni alla cui ricorrenza è possibile adottare un provvedimento di scioglimento del consiglio comunale per infiltrazioni mafiose.
La vicenda ha tratto le mosse dalla sentenza (impugnata in appello) con cui il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio aveva respinto il ricorso proposto dal Sindaco del Comune di Ventimiglia, avverso il d.P.R. 6 febbraio 2012 con il quale erano stati disposti lo scioglimento del predetto Comune per diciotto mesi, ai sensi dell’art.143 TUEL e la nomina di una commissione straordinaria per la gestione dell’ente.
Con l´appello, il Sindaco aveva contestato la correttezza della sentenza chiedendone la riforma, con annullamento dei provvedimenti impugnati in primo grado.
Costituitisi in giudizio la Presidenza del Consiglio dei Ministri e il Ministero dell’interno, il ricorso veniva trattenuto in decisione alla pubblica udienza dell’11 febbraio 2016.
Il Collegio ha innanzitutto precisato che il Tribunale di prima istanza aveva accertato la sussistenza di indizi ed elementi sufficienti a dimostrare il condizionamento mafioso dell’amministrazione comunale, e, quindi, a giustificare la determinazione gravata, e rilevato che l´appellante, che rivestiva la carica di Sindaco al momento dello scioglimento del consiglio comunale, aveva criticato la correttezza della statuizione lamentando l´insussistenza di indici sufficienti ad attestare le infiltrazioni mafiose nell´amministrazione comunale e concluso per
l’accoglimento del ricorso di primo grado, in riforma della sentenza appellata.
Tale essendo il thema decidendum, il Collegio ha preliminarmente ritenuto opportuna una ricognizione dei principi che regolano lo scioglimento dei consigli comunali per infiltrazioni mafiose e delle regole alle quali deve obbedire il giudizio di legittimità dei relativi provvedimenti.
Ha così premesso che la misura in esame, disciplinata dall’art.143 TUEL, costituisce uno strumento straordinario di prevenzione e di contrasto alla criminalità organizzata, apprestato dall’ordinamento per rettificare situazioni patologiche di compromissione del naturale funzionamento del governo locale, a causa del suo condizionamento da parte di consorterie di stampo mafioso.
Il decreto in questione, pertanto, non ha natura sanzionatoria in quanto sprovvisto di finalità repressive nei confronti dei singoli amministratori dell’ente locale, ma assolve alla diversa funzione di salvaguardare la corretta funzionalità dell´amministrazione pubblica. Si tratta quindi di un atto di alta amministrazione.
Ciò implica due conseguenze: a) l’ampiezza della valutazione degli elementi significativi di collegamenti diretti o indiretti, che devono tuttavia rivelare, anche solo secondo un giudizio di
plausibilità (purchè logico e attendibile), il condizionamento degli amministratori locali da parte delle consorterie mafiose;
b) il livello limitato del sindacato del giudice amministrativo sulla legittimità dei provvedimenti in questione, che non può spingersi oltre il riscontro della coerenza logica della valutazione ad essi sottesa e della corretta considerazione dei fatti individuati come significativi del condizionamento mafioso e che non può penetrare fino alla disamina del merito della scelta del
commissariamento.
Inoltre, il Consiglio ha ricordato che la situazione potenzialmente legittimante lo scioglimento è integrata anche da fatti o indizi non traducibili in episodici addebiti personali, ma che comunque siano idonei a rendere plausibile l´ipotesi di una soggezione degli amministratori locali alla criminalità organizzata; e ciò a prescindere da una loro insufficienza a determinare l’esercizio dell´azione penale o l´adozione di misure individuali di prevenzione.
In conclusione, l´adozione della misura dello scioglimento è legittima in quanto risulti la prova che la libertà decisoria degli organi elettivi del Comune sia concretamente conculcata e limitata, se non annullata, dall´opera di condizionamento della criminalità organizzativa di stampo mafioso.
Così ricostruito il quadro normativo, ha rilevato il Collegio che, contrariamente a quanto rilevato dai giudici di prima istanza, gli elementi assunti a sostegno della determinazione di
scioglimento del consiglio comunale di Ventimiglia risultavano assolutamente inidonei ad attestare, nel rispetto dei canoni sopra ricordati, il condizionamento mafioso dell’ente commissariato e, quindi, a legittimare la relativa misura.
Nessuna prova era infatti ravvisabile in ordine al requisito del condizionamento della libertà di determinazione degli organi elettivi, il quale postula la consapevolezza degli amministratori di
indirizzare le loro decisioni al soddisfacimento degli interessi delle consorterie malavitose.
Risultando anzi dalle due conformi sentenze penali (di primo e di secondo grado) di assoluzione dell´ex Sindaco che egli ignorava che la cooperativa destinataria di alcuni affidamenti da parte
della società comunale) fosse, di fatto, posseduta e gestita da soggetti appartenenti all´associazione ‘ndranghetistica insediata a Ventimiglia.
Pertanto, data l’insussistenza di indizi che attestino, con il dovuto rigore, il collegamento tra gli organi elettivi di Ventimiglia e le cosche dell’’ndrangheta ivi operanti o, comunque, un potere, effettivo e concreto, di condizionamento, da parte di queste ultime, delle libere determinazioni amministrative comunali, tali indefettibili condizioni non potevano dedursi, in via
meramente logica, dal mero rilievo dell’illegittimità, peraltro dubbia, di alcuni provvedimenti amministrativi.
Alla stregua delle considerazioni che precedono, l´appello è stato accolto e annullati gli atti con lo stesso impugnati.


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