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Rosa Agazzi (Volongo, 26 marzo1866 – Volongo, 9 gennaio1951) e Carolina Agazzi (Volongo, 1870 – Roma, 24 novembre1945) sono state due pedagogiste ed educatrici sperimentali conosciute come sorelle Agazzi.
Dopo aver frequentato studi magistrali danno inizio al loro percorso di insegnamento a Nave, in provincia di Brescia, nel 1889-90 in una borgata disagiata.
Su suggerimento di Pietro Pasquali decidono di fondare una nuova scuola materna a Mompiano nel 1896. Il modello della loro scuola ebbe molto successo e servì come modello per la nascita di scuole successive che sorsero con il nome di sorelle Agazzi.
Il termine scuola materna verrà ripreso nel 1968 con la legge n°444, che istituirà le scuole di Stato per l'infanzia.
Entrambe dopo la prima guerra mondiale tengono corsi d'insegnamento alle maestre di Trento, di Bolzano e nella Venezia Giulia.
Nel 1926 smettono di insegnare, nello stesso momento in cui in Italia si diffondono le scuole materne.
Il metodo educativo delle sorelle Agazzi, assieme al metodo montessoriano, inaugura l'era dell'attivismo italiano, corrente pedagogica nata all'inizio del XX sec., fondata sull'idea che al centro dell'apprendimento ci sia l'esperienza e che il bambino non sia più spettatore ma attore del processo formativo.
Pure rifacendosi al Kindergarten di Fröbel, esaltano la vitalità e la spontaneità dell'infanzia, punto principale del loro pensiero pedagogico e non condividono lo scolasticismo aportiano.
Criticano la precocità dell'educazione poiché intendono formare bambini e non scolari. Il bambino deve crescere in un ambiente familiare che stimoli la sua creatività e deve avere un continuo dialogo con l'adulto. L'educatrice deve richiamare il ruolo della madre.
L'attività del bambino è il punto centrale del processo educativo. L'ambiente in cui si sviluppa l'attività del bambino deve essere semplice e composto di materiali che fanno parte della sua quotidianità.
Si privilegiano le attività individuali libere a quelle collettive sebbene sorvegliate dall'educatore. Il bambino deve essere libero di fare da sé pur rispettando l'ordine delle cose ed essere capace di collaborare con gli altri seguendo il metodo del mutuo insegnamento: il bambino più esperto e consapevole fornisce informazioni ed indicazioni ad un proprio compagno meno preparato.
«Quando noi mettiamo un bambino di cinque anni nella condizione di osservare un altro bambino inferiore a lui per età e per intelligenza, e gli diciamo: vedi, egli qui in alto non può arrivare, perché è basso di statura; vuoi tu aiutarlo? Egli non sa quello che tu sai; vuoi insegnargli qualche bella cosa? Egli è debole e tu sei forte; vuoi tu proteggerlo?
Quando noi facciamo questo, applichiamo un principio della morale cristiana - l'amore per il prossimo -mettiamo cioè le basi del sentimento della fratellanza. Chi non vede tutta la bellezza spirituale che in sé racchiude l'incontro di due minuscole esistenze, di cui una prova l'impressione della propria pochezza, l'altra la gioia nell'intuire che, avendo già superato quello stato di debolezza, si sente in grado di insegnare ad altri a superarlo? Il maggiore dei due guidato dall'educatrice a ricordare il cammino percorso. "E' vero", pensa: "Io pure un giorno ero piccolo di corpo e di mente, io pure ebbi chi mi aiutò a intendere; poi appresi a fare da me solo; ora posso anche insegnare a chi non sa".
Ecco che il bambino si accorge di percorrere una via che lo conduce verso un progressivo miglioramento della propria individualità; ogni giorno che passa egli vede dietro di sé un altro se stesso in proporzioni ridotte. Questo fatto può risolversi per l'educando in salutare compiacimento, quando l'educatrice sappia farlo rivivere nei rapporti di benevolenza fra il maggiore e il suo pupillo. "Vedi? Questo lavoro che tu hai fatto, ieri non lo sapevi fare; ma oggi la tua mano, un poco meno ignorante di ieri, ha imparato a muoversi con destrezza; gli occhi, più attenti, hanno veduto meglio; e sei stato tu a comandare alla mano e agli occhi di essere un po‟ più bravini, perché oggi anche tu hai un po' più di giudizio di ieri... Il tuo piccolo nel vedere questo lavoretto penserà: 'Oh, guarda, il mio grande cosa sa fare!... Lui sì, io no!...'. Si inizia, per tal modo, la virtù della longanimità.
Come avviene di ogni esercizio che più si ripete e più lascia traccia di sé, la frequente vicinanza del maggiore al minore alimenta in ambedue il vincolo di una fraterna simpatia. Nulla di più bello del vedere i bambini di tre anni intenti ad ammirare, nelle pose più varie, i loro tutori in faccende a preparare un giocattolo proprio per loro uso. Guardano in silenzio, compresi delle azioni che vedon succedersi nella fabbricazione del modesto oggetto, compresi anzitutto della bravura di chi lo compie. Nulla di più grazioso di un maggiore che insegna al piccolo a innaffiare, senza bagnarsi, una pianticella; a sollevarlo, perché possa con più agio osservare un disegno sulla lavagna; a rimboccargli le maniche prima della lavatura; a insegnargli a pronunciare il nome di un fiore, ad allacciargli il bavaglino, a spezzargli il pane; a vestirlo, a condurlo in guardaroba a riporre cose con ordine; a segnargli il tempo mentre gli insegna un passo ritmico.
L'educatrice, anziché cercare di ridurre le occasioni di codesti avvicinamenti, dovrebbe proporsi di moltiplicarle: ridurle, significa rinunciare a innumerevoli occasioni di aiutare la sensibilità affettiva de' suoi alunni, mentre è specialmente dallo svolgersi di questa convivenza che ella dovrebbe far scaturire il programma di una morale in azione. Con fine accorgimento ella porterebbe alla ribalta, senza darsi l'aria di colpire, difetti e pregi della sua coorte, guidata sempre dall'intento di sottrarre i piccoli cuori alle scorie dell'istinto, per renderli atti a intendere la gioia che ogni anima nobile prova volendo bene e giovando al proprio simile».
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