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Riscontri esterni e chiamata in correità

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La Corte di Cassazione è chiamata nuovamente, con la sentenza in commento, ad affrontare il tema della chiamata in correità e della sua rilevanza ai fini di condanna penale.

La sentenza, n. 45733 del 2018 della sesta sezione, viene resa all'esito di una vicenda molto articolata,  riguardante la partecipazione ad un'associazione a delinquere, sulla quale si sono espressi più volte diversi giudici di merito, ma si prenderà in esame ai fini che ci occupano – per adesso – solo il punto di diritto che ha riguardato la chiamata in correità e la sua valutazione in punto di riscontri estrinseci ed intrinseci.

Nel caso di specie, data l'assoluzione pronunciata in secondo grado, a ricorrere è il procuratore generale il quale riteneva che dopo aver affermato la credibilità di colui che effettuava la chiamata in correità e l'attendibilità oggettiva delle sue dichiarazioni,  la Corte di Appello avesse errato nel ritenere di non poter effettuare la condanna del chiamato in quanto le dichiarazioni accusatorie erano carenti di riscontri esterni individualizzanti.

La norma di riferimento da analizzare e su cui soffermarsi è l'art. 192 co. 3 c.p.p. che richiede che: "3. Le dichiarazioni rese dal coimputato del medesimo reato o da persona imputata in un procedimento connesso a norma dell'articolo 12 sono valutate unitamente agli altri elementi di prova che ne confermano l'attendibilità".

 

Il ricorso del procuratore viene dunque ritenuto dalla Corte infondato in quanto è sempre necessario, oltre ad un riscontro di attendibilità intrinseco, ricercare anche quello estrinseco.

Afferma la Corte che: "la prova sugli elementi che fondano la responsabilità di un individuo nell'ambito di una fattispecie pluripersonale può essere data dalle dichiarazioni di un correo".

La chiamata in correità, però, richiede mezzi di valutazione sofisticati, già oggetto di diverse sentenze di legittimità tra cui l'ultima delle Sezioni Unite che ha individuato i presupposti sistematici per l'apprezzamento di queste dichiarazioni.

Da ciò la Corte desume che la chiamata di correo è una prova che si trova, però, in una posizione ancillare e diviene apprezzabile solo nell'ipotesi in cui si affianchi ad una prova diversa.

Peraltro, non è necessario che l'elemento di riscontro sia rappresentato da una prova diretta, ben potendo esserlo anche la prova logica. 

L'oggetto di prova rimane sempre quello individuato dall'art. 187 co. 1 c.p.p. ovvero: "Sono oggetto di prova i fatti che si riferiscono all'imputazione, alla punibilità e alla determinazione della pena o della misura di sicurezza".

Chiaramente tali considerazioni trovano una controprova all'art. 533 c.p.p. a norma del quale, per una pronuncia di condanna occorre provare, oltre ogni ragionevole dubbio, tutti gli elementi inerenti l'elemento oggettivo del fatto di reato, ma anche la colpevolezza del chiamato.

Gli elementi di conferma richiesti dall'art. 192 c.p.p. devono quindi riguardare la partecipazione al fatto della persona accusata nei termini che fondano la relativa contestazione.

In pratica, la Corte afferma che non è richiesto che i riscontri della chiamata in correità si riferiscano direttamente e immediatamente alla medesima circostanza che assume rilievo nell'economia della contestazione.

Viceversa verrebbe meno illegittimamente la sufficienza del riscontro logico.

Il riscontro, però, deve riguardare necessariamente (nel caso di specie) la partecipazione all'associazione criminosa dell'accusato ovvero la condotta delittuosa.

In pratica, la Corte giunge a ribadire che la chiamata in correità per assurgere a rango di prova valida a carico del chiamato, oltre ad avere i requisiti della attendibilità intrinseca, necessita di riscontri anche estrinseci che devono avere un carattere propriamente individualizzante nel senso che devono riguardare direttamente la persona dell'imputato con riferimento ai fatti che gli vengono attribuiti nell'economia della associazione criminosa cui viene accusato di appartenere.

In definitiva, non è sufficiente l'oggettiva conferma dei fatti riferiti dal dichiarante, ma è necessario che vengano accertati elementi che collegano il fatto stesso dichiarato alla persona accusata. 

 

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