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Con la sentenza n. 15331 dello scorso 19 maggio, la IV sezione penale della Corte di Cassazione, ha annullato la sentenza di condanna per il reato di violenza sessuale inflitto ad un uomo la cui colpevolezza si era basata sul contenuto delle dichiarazioni fornite dalla persona offesa che, in sede di testimonianza, si era limitata a rispondere alle domande – palesemente suggestive e nocive – formulate dal giudice.
Si è difatti specificato che " la ragazza si è limitata, per gran parte dell'esame, ad assecondare il giudice che la interrogava, sicché le sue risposte, non essendo spontanee, non possono considerarsi attendibili. Conseguentemente, la motivazione della sentenza non soddisfa il requisito della specifica confutazione delle argomentazioni poste dal giudice di primo grado a fondamento della diversa decisione, né soddisfa l'obbligo di motivazione".
Il caso sottoposto all'attenzione della Cassazione prende avvio dall'esercizio dell'azione penale nei confronti di un uomo, accusato dei reati di violenza sessuale commesso in danno di una ragazzina, per averle preso la mano trattenendola sui propri genitali.
Per tali fatti, il Tribunale di Genova aveva condannato l'imputato alla pena di anni due di reclusione per il reato di cui all'art. 609-quater c.p.; la Corte di appello di Genova, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, ritenuta la responsabilità dell'imputato anche per il delitto di cui all'art. 609-bis c.p., lo condannava alla pena di quattro anni di reclusione.
La Cassazione, investita del ricorso dell'imputato, annullava la sentenza di appello, demandando al giudice del rinvio di procedere alla rinnovazione dell'istruzione dibattimentale nei confronti della persona offesa, effettuando un vaglio analitico e approfondito della sua attendibilità e del significato delle dichiarazioni da costei rese nel corso dell'audizione.
La Corte di appello di Genova, decidendo in sede di rinvio, lo condannava alla pena complessiva di anni tre di reclusione.
Ricorrendo in Cassazione, la difesa dell'uomo si doleva per le modalità di assunzione e valutazione della testimonianza resa dalla persona offesa, posto che l'esame della ragazza, contrariamente a quanto riportato in motivazione, non sarebbe consistito nell'esame e controesame ma in domande palesemente suggestive, poste direttamente dal consigliere relatore alla teste, così minandone la credibilità.
La Cassazione condivide la censura prospettata.
La Corte premette che la disciplina dell'esame dei testimoni fondata sull'esame incrociato – sottratta, di regola, al monopolio del giudice – trova un richiamo nelle fonti europee e internazionali ed è stata prescelta anche dal legislatore nazionale: l'art. 498 c.p.p. fissa la regola principale per la quale l'escussione avviene mediante domande rivolte direttamente al testimone dal pubblico ministero e dai difensori, senza il filtro del giudice; ai sensi dell'art. 499 c.p.p., il giudice – durante l'esame del testimone – deve deve vietare in modo assoluto le domande che possono nuocere alla sincerità delle risposte (comma 2), vietare alla parte che ha addotto il teste o che ha un interesse comune con lo stesso di formulare le domande in modo da suggerirgli le risposte (comma 3), assicurare durante l'esame del teste la pertinenza delle domande, la genuinità delle risposte, la lealtà dell'esame e la correttezza delle contestazioni (comma 6); l'art. 506 c.p.p., comma 2, prevede il potere del presidente di rivolgere domande ai testimoni e alle parti private solo dopo l'esame e il controesame, in quanto un intervento officioso del giudice con finalità chiarificatrice dei fatti oggetto del processo e in funzione surrogatoria rispetto alle parti, in tanto trova giustificazione in un processo tendenzialmente accusatorio, in quanto non sia stato possibile ottenere i necessari chiarimenti mediante le domande che hanno posto le parti.
In particolare vanno vietate sia le domande "suggestive" , ovvero quelle che tendono a suggerire la risposta al teste o forniscono le informazioni necessarie per rispondere secondo quanto desiderato dall'esaminatore, anche attraverso una semplice conferma, sia quelle "nocive", finalizzate a manipolare il teste, fuorviandone la memoria, poiché gli forniscono informazioni errate e falsi presupposti tali da minare la stessa genuinità della risposta.
La sentenza in commento specifica che tali divieti - espressamente previsti con riferimento alla parte che ha chiesto la citazione del teste - valgono, a maggior ragione, per il giudice al quale spetta il compito di assicurare, in ogni caso, la genuinità delle risposte.
Con specifico riferimento al caso di specie, la Corte evidenzia che le irregolarità nella conduzione e nell'assunzione della testimonianza della persona offesa si sono riverberate, viziandola, sulla motivazione della sentenza impugnata.
Difatti, le modalità di assunzione della testimonianza, condotta in prima battuta e in gran parte dal consigliere relatore con domande suggestive, assertive e nocive, e il contenuto delle domande da questi rivolte alla persona offesa, ne hanno gravemente pregiudicato l'attendibilità, in quanto si è trattato di domande che, oltre ad essere estremamente dettagliate, hanno indirizzato la persona offesa verso una mera conferma di quanto l'interrogante stava postulando con palese manipolazione delle risposte date dalla giovane.
Ne deriva che la testimonianza non ha fornito un sapere certo: gli Ermellini evidenziano come
la ragazza si sia limitata, per gran parte dell'esame, ad assecondare il giudice che la interrogava, sicché le sue risposte, non essendo spontanee, non possono considerarsi attendibili.
Conseguentemente, la motivazione della sentenza non soddisfa il requisito della specifica confutazione delle argomentazioni poste dal giudice di primo grado a fondamento della diversa decisione, né soddisfa l'obbligo di motivazione, così come indicato dalla sentenza di annullamento.
In conclusione la Cassazione accoglie il ricorso annulla la sentenza impugnata e rinvia, per nuovo giudizio, ad altra sezione della Corte d'appello di Genova.
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Il mio nome è Rosalia Ruggieri, sono una persona sensibile e generosa, sempre pronta ad aiutare chi ne ha bisogno: entro subito in empatia con gli altri, per indole sono portata più ad ascoltare che a parlare, riservatezza e discrezione sono aspetti caratteristici del mio carattere. Molto caparbia e determinata, miro alla perfezione in tutto quello che faccio.
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Nel 2010 mi sono laureata in giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Bari; nel 2012 ho conseguito sia il Diploma di Specializzazione per le Professioni Legali presso l'Ateneo Barese che il Diploma di Master di II livello in "European Security and geopolitics, judiciary" presso la Lubelska Szkola Wyzsza W Rykach in Polonia.
Esercito la professione forense nel Foro di Bari, occupandomi prevalentemente di diritto civile ( responsabilità contrattuale e extracontrattuale, responsabilità professionale e diritto dei consumatori); fornisco consulenza specialistica anche in materia penale, con applicazione nelle strategie difensive della formula BARD.