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Riqualificazione reato inibita a giudice appello se rende più aspra sanzione penale

In assenza di impugnazione da parte del pubblico ministero, viola il divieto di "reformatio in peius" la diversa qualificazione giuridica del fatto da parte del giudice del gravame, qualora a ciò consegua la configurazione di un delitto procedibile di ufficio, escluso dal primo giudice, in luogo di uno procedibile a querela.
Lo ha affermato la Corte Suprema di Cassazione, Quinta Sezione Penale, con Sentenza n. 42577/2016, resa in esito all´udienza del 20/7/2016 e depositata il 7/10/2016.
Nella specie, il reato, originariamente contestato, previsto e punito dall´art. 392 C.P., era stato riqualificato dalla Corte di Appello di Roma in quello di violenza privata, che, al contrario, non era stato contestato all´imputato.
Pur richiamando il tradizionale e consolidato orientamento del Giudice di legittimità, alla cui stregua non può dirsi preclusa una nuova qualificazione del reato da parte del giudice d´appello, la Suprema Corte ha tuttavia puntualizzato che tale potere trova un limite nella circostanza che da tale operazione ermeneutica non derivi un trattamento deteriore, sotto il profilo della sanzione penale comminabile, a quello che all´imputato sarebbe conseguito sulla base di quanto originariamente a lui contestato, prima della riqualificazione.
Per tali ragioni la sentenza è stata cassata.
Sentenza allegata

 

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