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Riduzione assegno di mantenimento e configurazione del reato

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L'annosa questione degli assegni di mantenimento viene toccata di nuovo dalla Corte di Cassazione sul versante penale. Il principio di diritto che da essa ne scaturisce interessa la relazione tra la riduzione dell'assegno stesso, operata dal padre, e la configurazione in capo all'obbligato medesimo del reato di cui l'art. 570 c.p. Precisamente la Corte ha modo di affermare che la configurazione del reato va incardinata nelle circostanze del caso in maniera tale da accertare la sussistenza del reato medesimo nella misura in cui si venga ad incidere con rilevanza sui fabbisogni del figlio.

Il fatto origina dal proscioglimento di un padre con la formula "perché il fatto non sussiste". Secondo la motivazione del Gip, il reato ex art. 570 c.p. si sarebbe configurato, in relazione al comma 2, solo qualora la condotta "di chi fa mancare i mezzi di sussistenza ai discendenti" avesse determinato effettivamente il venir meno di un sostentamento significativo ai bisogni di vita; in tal senso la semplice riduzione dell'assegno, non seguita da quanto appena detto, non poteva comportare ex se la sua sussunzione sotto la fattispecie criminosa de quo. Residuava solo in chiave civilistica la possibilità di azionare i crediti consistenti nella parte di somma non ancora versata. 

Il ricorso per cassazione veniva presentato dal Procuratore Generale presso la Corte d'Appello di Bologna il quale evidenziava la non corretta applicazione dell'art. 570 comma 2 c.p. per il fatto che la fattispecie faceva riferimento ai livelli minimi di fabbisogno e che la mancanza di sostentamento necessario si intravedeva direttamente nel minore in quanto lo stesso, per la sua stessa ragion d'essere, non era in grado di provvedere a sé stesso; non rilevava inoltre che ai bisogni del figlio provvedesse anche la madre.Si associava alle predette osservazioni anche il Procuratore Generale presso la Suprema Corte, mentre, la difesa dell'imputato, con apposita memoria, evidenziava che nello scarto temporale fra il 2012 e il 2014 mancava un accordo delle parti sull'ammontare dell'assegno, ma, il padre aveva versato volontariamente delle somme, anche relativamente a spese straordinarie, nonostante le proprie contingenze economiche difficoltose.  

La Suprema Corte sposa la premessa per cui il minore, per il fatto di non poter badare a sé stesso, manifesta in sé uno stato di bisogno e che dunque tale stato non viene meno per il semplice fatto che alle sue esigenze abbia provveduto l'altro genitore. Non è però consequenziale il reato ascritto: bisogna infatti accertare se concretamente le esigenze di vita del minore siano state fortemente compromesse dalla condotta del padre visto che la stessa giurisprudenza, nelle ipotesi di "corresponsione parziale", richiede che vengano prese in considerazione le circostanze del caso concreto. Spiega quindi la Corte che la configurazione della fattispecie criminosa necessita anzitutto che la condotta dell'obbligato si sia tradotta in una notevole scarsità di mezzi di sostentamento. Aggiunge poi che il reato de quo richiede che il soggetto agente abbia la coscienza e la volontà di venir meno ai propri obblighi civili.

In definitiva il ricorso viene rigettato perché in maniera acritica il reato ex art. 570 c.p. è stato fatto discendere dal mero inadempimento civilistico senza considerare dunque se in concreto vi fosse stata una notevole riduzione dei mezzi di sostentamento che avesse importato una forte compromissione delle esigenze di vita del minore. 

 

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