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Raffaella Quintana, l´avvocato «transborder»

Avvocato, partner di un studio legale internazionale, Raffaella Quintana da anni è impegnata nel sostegno alla leadership femminile.
Raffaella Quintana è una donna libera: «Il bello della mia età è che me ne frego: non sono incastrata nel ricatto di dover piacere. Credo che le persone debbano essere valutate per i contenuti che esprimono, per quello che fanno e per come lo fanno. E su questo mi sento serena». Raffaella Quintana sa andare al sodo, risponde a tutte le domande con estrema chiarezza, abituata com´è ad affrontare questioni importanti: avvocato, partner di DLA Piper, un grande studio legale internazionale presente inItalia e in oltre 40 Paesi del mondo, è co-responsabile del dipartimento Litigation & Regulatory dello studio, che conta piu´ di 60 professionisti, e responsabile del gruppo che si occupa dei cosiddetti «White Collar Crime», ovvero di quei reati commessi nell´ambito di un´attività lavorativa e relativi al mondo dell´economia.
Sono casi di corruzione, truffe ai danni dello Stato: «Oggi, sicuramente», spiega lei, «c´è una diversa percezione del fenomeno. Con la normativa 231 del 2001, emanata dal Governo Prodi, le cose sono cambiate e c´è un´attenzione ben più alta: prima i reati commessi dai manager erano puniti solo nella persona fisica, mentre, da che esiste quel decreto, c´è una responsabilità diretta delle società. Si è modificata la prospettiva e le aziende hanno cominciato a stare più accorte. Oggi si lavora davvero sulla prevenzione del reato, anziché sulla punizione, concetto non banale per la nostra società cattolica».
La parola che ricorre è «compliance», ovvero la conformità normativa : «Il legislatore e i tribunali impongono vincoli sempre più complessi a carico delle aziende. Sia l´azienda sia il managament vedono aumentare il rischio di essere coinvolti in caso di infrazioni. Per questo la compliance assume un ruolo rilevante: le sfide e le difficoltà della vita operativa sono troppo sfaccettate per permettersi il lusso di affrontarle senza un´adeguata analisi e valutazione. Viviamo in un mondo iper-regolamentato e benché questo possa apparire come limitante per approcci fantasiosi e creativi, in realtà serve per rendere possibili i controlli. Non seguire le regole ha conseguenze sempre e comunque negative. Oggi nessuna azienda del mondo pensa di poter bypassare la compliance, è un dato di fatto...».
E quella che hanno in DLA Piper è davvero una visione del mondo intero, visto che lo studio ha uffici in diversi Paesi. Ma serve questa dimensione multinazionale?
«Sì, certo. La nostra è un´organizzazione con più di 4500 professionisti e siamo abituati a gestire situazioni transborder. Il nostro valore aggiunto rispetto a quello degli studi-boutique è che, essendo così tanti e così diffusi nei vari Stati, riusciamo ad avere un approccio interdisciplinare: chi viene da noi, può trovare qui risposta per ogni esigenza legale, perché possiamo offrire competenze molto diversificate. Non si parla di un principe del Foro, ma di un accurato lavoro di equipe: ognuno di noi porta il suo contributo. Ciò che ci distingue dagli altri studi è infatti l´organizzazione per gruppi di lavoro in considerazione dell´esperienza che ciascun professionista ha maturato, questo ci dà la possibilità di mettere a disposizione del cliente solo esperti del settore in cui questo opera, sia esso il farmaceutico, l´energy, la moda, il mercato bancario, finanziario e così via. Inoltre, grazie al nostro impianto multinazionale, si può, appunto, creare una sinergia tra i vari Paesi, prendendo in considerazione le legislazioni dei diversi Stati, cosa più utile che mai quando seguiamo società che hanno affari in più parti del mondo».
E così, in nome del gruppo e del buon funzionamento dell´insieme, con altre avvocatesse di DLA Piper (Federica Bocci, Carmen Chierchia e Ilaria Curti), Raffaella Quintana ha fondato LAW, ovvero «Leadership Alliance for Women», un team di lavoro che ha lo scopo di formare, trattenere e promuovere la leadership dei talenti femminili, attraverso attività di mentoring e con l´organizzazione di eventi.
«Quando ero ragazza ero molto contraria a tutti i discorsi sulle quote rosa e sulle politiche in tutela delle donne: ritenevo che se qualcuna l´avesse meritato ce l´avrebbe fatta da sola. Devo dire che oggi, a 55 anni, mi sono ricreduta molto: il mondo delle professioni è tutt´ora terribilmente maschilista. Le donne che hanno un ruolo di responabilità sono ancora troppo poche rispetto al numero dei professionisti uomini. Così, per esempio, di donne avvocato ce ne sono tante e tantissime ai livelli "base", ma in genere non nelle posizioni di responsabilità. È incredibile come gli uomini creino delle relazioni, che ci escludono: penso alle partite di calcio con i clienti o alle gare sui campi da golf e, purtroppo, queste cose funzionano ancora in termini di comunicazione e di networking. E così abbiamo pensato che fosse importante impegnarci: per le donne non può più essere così difficile raggiungere posizioni di leadership. Abbiamo lavorato con un gruppo di psicologi, abbiamo organizzato dei seminari, abbiamo coinvolto dei coach e abbiamo scoperto che spesso sono proprio le donne le prime a crearsi degli ostacoli. Le donne non hanno sempre la consapevolezza delle proprie capacità, nonostante sia stato provato come in realtà vengano percepite generalmente più precise rispetto agli uomini, più affidabili, con un´ottima organizzazione esecutiva. Il problema è che la donna tende a domandarsi continuamente se sarà davvero in grado di fare una cosa, rischiando così di rallentare continuamente. Le donne che lavorano oggi sono tantissime: il problema non è l´ingresso, la difficoltà è quella di arrivare in alto. Ce la si farà, bisogna solo mettere a punto alcuni strumenti».
Lei, da parte sua, quegli strumenti li ha tutti già messi a punto e non ha usato mai nessun altro «supporto» se non quello delle proprie capacità, nemmeno quello rassicurante del matrimonio: «Sono contraria al matrimonio, ma comunque alla fine sto con lo stesso uomo da 25 anni e con lui ho due figli, una ragazza di 18 anni e un maschio di 12. Sono sempre andata avanti concentrandomi su quello che stavo facendo: non avendo nessun tipo di appoggio, per riuscire a fare la mia professione in un certo modo, pensavo di dover sacrificare la mia vita personale, come se non fosse mai il momento giusto per mettere in piedi una famiglia. Inutile nasconderlo: per una donna impegnata davvero sul lavoro, è un dato di fatto che la maternità possa costituire un ostacolo. Io devo confessare di essere una madre un po´ atipica: ho partorito durante il weekend, non ho mai smesso di lavorare. Detto ciò ho sempre cercato di dare ai miei figli il miglior tempo possibile e ad ora mi sembra che siano cresciuti con un forte senso di autonomia e con un buon equilibrio. Credo che sarebbero stati infelici se io avessi espresso loro solo frustrazioni».
E oggi, che cosa vogliono fare i suoi ragazzi?
«La mia sensazione è che i giovani abbiano troppe alternative. A casa mia o facevi il medico o l´avvocato o il commercialista, già l´architetto era un po´ fuori schema. Adesso i ragazzi possono fare milioni di cose. A mia figlia piacerebbe lavorare nel sociale, magari in qualche Paese disagiato. Ha in mente il Myanmar. Credo che la nostra passione per i viaggi l´abbia fatta sua. Io, se non faccio almeno due viaggi l´anno, di quei viaggi con zaino in spalla in posti assurdi non sono contenta. E i nostri figli sono sempre venuti con noi, da quando avevano pochissimi mesi».
Hanno da essere orgogliosi di una mamma così. Perfetta?
«Macché perfetta! Fumo 40 sigarette al giorno, non rispetto nessun dettame della sana alimentazione e tendo allo sbraco. Però, da buon Capricorno, le regole mi piacciono!».


Fonte: Vanity Fair, 12/10/2017

 

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