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Quando una minaccia "larvata" è tentata estorsione, i chiarimenti della Cassazione

Una sentenza importantissima anche sotto il profilo del contrasto all´illegalità e alle mafie proprio nel giorno dedicato al ricordo di Giovanni Falcone e delle vittime della strage di Capaci.
I giudici della Seconda Sezione della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 23075 del 23 maggio 2018 hanno stabilito che si configura il reato di tentata estorsione quando ad avanzare una richiesta di denaro sia stato un soggetto che la vittima sa di appartenere ad un noto clan malavitoso anche se la minaccia di subire un danno ingiusto sia stata solo accennata e formulata in maniera larvata e non esplicita.

I Fatti
La Corte di Appello di Roma aveva confermato, seppure con una diminuzione della pena, la sentenza emessa dal giudice di primo grado, con la quale l´imputato era stato condannato per il reato di tentata estorsione.
Avverso la sentenza della corte territoriale l´imputato proponeva ricorso per cassazioneeccependo che la Corte di appello aveva omesso adeguata motivazione in ordine alla idoneità della condotta a produrre l´effetto di coartare la volontà della persona offesa. Il difensore eccepiva inoltre che la Corte di appello aveva fondato la sua decisione sulle modalità realizzative del reato, valutate come inequivocabile manifestazione della pericolosità dell´imputato.

Ragioni della decisione
I giudici di legittimità hanno ritenuto le motivazioni proposte dalla difesa del ricorrente inammissibili in quanto attinenti a profili che non possono trovare ingresso avanti al giudizio di legittimità. Infatti come più volte già ribadito in precedenti pronunce ( tra le ultime Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482; Sez. 2, n. 29480 del 07/02/2017, Cammarata, 3 Rv. 270519), al giudice di legittimità è preclusa la possibilità " di effettuare un´indagine sul discorso giustificativo della decisione, finalizzata a sovrapporre la propria valutazione a quella già effettuata dai giudici di merito, dovendosi limitare a verificare l´adeguatezza delle considerazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per giustificare il suo convincimento"


I giudici della Seconda sezione hanno fatto rilevare che nel caso di specie i giudici della Corte di appello avevano in maniera esauriente motivato su ogni punto del primo motivo di appello evidenziando la circostanza relativa alla conoscenza da parte della vittima dell´appartenenza dell´imputato ad un clan mafioso .
Altrettanto esauriente è stata la motivazione della decisione impugnata in ordine alla idoneità della minaccia subita dalla vittima. A tal proposito i giudici di legittimità hanno ricordato che , "nel reato di estorsione la minaccia, oltre che palese, esplicita e determinata, può essere anche larvata o indiretta; essa deve ingenerare in chi la subisce un timore consistente nella paventata previsione di più gravi pregiudizi, sicché, in tema di tentativo, va considerata la potenzialità della minaccia stessa ad incutere paura, indipendentemente dal fatto che la vittima ne risulti effettivamente intimidita" (Sez. 6 10229 del 29/04/1999 Labalestra Rv.214396) . Per tali ragioni la Corte ha ritenuto infondato il primo motivo del ricorso
.

In ordine al secondo motivo del ricorso, relativo alla mancata concessione della attenuanti generiche da dichiarare prevalenti sulla contestata recidiva, i giudici di legittimità hanno ritenuto fondato il motivo, in quanto la Corte di appello si era limitata ad affermare che il giudizio di prevalenza era impedito dal divieto posto dall´art. 69 quarto comma cod.pen., senza però considerare che al ricorrente era stata contestata soltanto la recidiva infraquinquennale ex art. 99 comma secondo cod.pen., rispetto al quale non opera il divieto previsto dall´art. 69 comma quarto comma cod.pen..
Per tali motivi la sentenza impugnata è stata annullata limitatamente al secondo motivo del ricorso con rinvio ad altra sezione della Corte territoriale.
Si allega sentenza



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