Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con Sentenza 27/05/2016 n. 11013.
Con ricorso al Tribunale di Lecce, un ingegnere chiedeva l´annullamento del provvedimento di iscrizione retroattiva alla Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza per gli ingegneri e architetti liberi professionisti assunto d´ufficio dalla Cassa,con relative sanzioni per il mancato versamento dei contributi.
Il Tribunale di Lecce respingeva detta domanda ed in accoglimento dell´eccezione di prescrizione determinava le somme dovute per contributi omessi.
La Corte rilevava, con riferimento alle doglianze dell´appellante, attore in primo grado, circa l´inesistenza di un suo obbligo di iscrizione alla Cassa per la sua attività di consulente dell´autorità giudiziaria non riconducibile ad esercizio della libera professione di ingegnere, che le attività rilevanti ai fini dell´iscrizione dovevano essere identificate con le prestazioni a ciascuna professione riservate per le quali era richiesta l´iscrizione ma considerandole nella più ampia connotazione imposta dalla necessità di non escludere quelle ad esse riconducibili per intrinseca connessione; che l´affidamento degli incarichi da parte dell´autorità giudiziaria nella materia dell´infortunistica statale era avvenuto proprio in considerazione della sua posizione di ingegnere iscritto all´albo; che era irrilevante il fatto che le attività svolte dal C. non fossero esclusivamente riservate agli ingegneri; che nell´esecuzione degli incarichi peritali il ricorrente aveva effettuato valutazioni dei luoghi, redazione di planimetrie, calcolo della velocità, spazi di frenata e punti di impatto ed altre attività simili appartenenti alle competenze esclusive dell´ingegnere.
Avverso la sentenza ricorreva il professionista e resisteva la Cassa.
Con il primo motivo il ricorrente, citando a conforto giurisprudenza di legittimità, sosteneva che i contributi previdenziali alla Cassa erano dovuti solo sui redditi derivati dall´attività professionale in senso proprio - e quindi da prestazioni riservate agli ingegneri conseguendone la non soggezione all´imposizione contributiva dei redditi procurati da attività estranee a tale previsione.
La Corte, però, ha ritenuto la doglianza infondata, dando continuità al principio già affermato (cfr Cass 14684/2012, n 9076/2013) che aveva affermato che "al fine di stabilire se i redditi prodotti dall´attività di un libero professionista siano qualificabili come redditi professionali, soggetti, come tali, alla contribuzione dovuta alla Cassa previdenziale di categoria, il concetto di "esercizio della professione" debba essere interpretato non in senso statico e rigoroso, bensì tenendo conto dell´evoluzione subita nel mondo contemporaneo (rispetto agli anni cui risale la normativa di "sistema" dettata per le varie libere professioni) dalle specifiche competenze e dalle cognizioni tecniche libero professionali.
Una evoluzione, ha continuato la Corte, che ha comportato la progressiva estensione dell´ambito proprio dell´attività professionale, con occupazione, da parte delle professioni, di tutta una serie di spazi inesistenti nel quadro tipico iniziale e, specificamente, per la professione di ingegnere, l´assunzione di connotazioni ben più ampie e di applicazioni diversificate rispetto a quelle originariamente previste".
Inoltre, "nel concetto in questione deve ritenersi compreso, oltre all´espletamento delle prestazioni tipicamente professionali (ossia delle attività riservate agli iscritti negli appositi albi) anche l´esercizio di attività che, pur non professionalmente tipiche, presentino, tuttavia un "nesso" con l´attività professionale strettamente intesa, in quanto richiedono le stesse competenze tecniche di cui il professionista ordinariamente si avvale nell´esercizio dell´attività professionale e nel cui svolgimento, quindi, mette a frutto (anche) la specifica cultura che gli deriva dalla formazione tipo logicamente propria della sua professione.
Questa interpretazione, secondo la Sezione, è da ritenersi valida per tutte le categorie professionali e si traduce nell´escludere la sussistenza dell´obbligo contributivo solamente nel caso in cui non sia, in concreto, ravvisabile un intreccio tra tipo di attività e conoscenze tipiche del professionista, è già stata suggerita dalla Corte costituzionale nella nota sentenza n. 402 del 1991, resa a proposito del contributo integrativo dovuto dagli avvocati e procuratori iscritti alla Cassa di previdenza ai sensi della L. n. 576 del 1980, art. 11, comma 1, e nella quale si è esplicitamente affermato che il prelievo contributivo in parola è collegato all´esercizio professionale e che per tale deve intendersi anche la prestazione di attività riconducibili, per loro intrinseca connessione ai contenuti dell´attività propria della libera professione; in sostanza le prestazioni contigue, per ragioni di affinità, a quelle libero professionali in senso stretto, rimanendone escluse solamente quelle che con queste non hanno nulla in comune.
In conclusione, e rinviando a quanto esposto nella citata sentenza del 29 agosto 2012 n. 14684, la Corte ha concluso che rientrano nell´attività professionale di ciascuna professione l´assolvimento di tutti quei compiti nei quali il professionista si avvale anche, sia pure non esclusivamente, della sua specifica competenza tecnica e, quindi, sia in fatto, strettamente collegata alle sue cognizioni tecnico-scientifiche.
Segue Sentenza
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BRONZINI Giuseppe - Presidente -
Dott. D´ANTONIO Enrica - rel. Consigliere -
Dott. BLASUTTO Daniela - Consigliere -
Dott. RIVERSO Roberto - Consigliere -
Dott. LEO Giuseppina - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 19152-2011 proposto da:
C.S., c.f. (OMISSIS), già elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA DEL FANTE 10, presso lo studio dell´avvocato CRISTINA CARICATO, rappresentato e difeso dall´avvocato ANTONIO ASTUTO, giusta delega in atti e da ultimo domiciliato presso la CANCELLERIA DELLA CURTE SUPREMA DI CASSAZIONE;
- ricorrente -
contro
INARCASSA - CASSA NAZIONALE DI PREVIDENZA ED ASSISTENZA PER GLI INGEGNERI ED ARCHITETTI LIBERI PROFESSIONISTI, (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliaLa in ROMA, L.RE RAFFAELLO SANZIO, 9, presso lo studio dell´avvocato MASSIMO LUCIANI, che la rappresenta e difende giusta delega in atti;
- controricorrente-
avverso la sentenza n. 1708/2010 della CORTE D´APPELLO di LECCE, depositata il 09/07/2010 2962/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 21/02/2016 dal Consigliere Dott. ENRICA D´ANTONIO;
udito l´Avvocato ASTUTO ANTONIO;
udito l´Avvocato LUCIANI MASSIMO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SERVELLO Gianfranco, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo
Con ricorso al Tribunale di Lecce l´ing C.S. chiedeva l´annullamento del provvedimento di iscrizione retroattiva alla Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza per gli ingegneri e architetti liberi professionisti - Inarcassa - assunto d´ufficio dalla Cassa,con relative sanzioni per il mancato versamento dei contributi.
Il Tribunale di Lecce respingeva detta domanda ed in accoglimento dell´eccezione di prescrizione determinava le somme dovute dal C. per contributi omessi.
La Corte d´appello di Lecce ha, soltanto, ridotto le somme dovute da C.S. all´Inarcassa pd Euro 13.571,13.
La Corte ha rilevato, con riferimento alle doglianze del C. circa l´inesistenza di un suo obbligo di iscrizione all´Inarcassa per la sua attività di consulente dell´autorità giudiziaria non riconducibile ad esercizio della libera professione di ingegnere, che le attività rilevanti ai fini dell´iscrizione dovevano essere identificate con le prestazioni a ciascuna professione riservate per le quali era richiesta l´iscrizione ma considerandole nella più ampia connotazione imposta dalla necessità di non escludere quelle ad esse riconducibili per intrinseca connessione; che l´affidamento degli incarichi da parte dell´autorità giudiziaria nella materia dell´infortunistica statale era avvenuto proprio in considerazione della sua posizione di ingegnere iscritto all´albo; che era irrilevante il fatto che le attività svolte dal C. non fossero esclusivamente riservate agli ingegneri; che nell´esecuzione degli incarichi peritali il ricorrente aveva effettuato valutazioni dei luoghi, redazione di planimetrie, calcolo della velocità, spazi di frenata e punti di impatto ed altre attività simili appartenenti alle competenze esclusive dell´ingegnere".
Avverso la sentenza ricorre il C. con sette motivi. Resiste l´Inarcassa. Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..
Motivi della decisione
1) Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione degli artt. 97 - 111 Cost., L. n. 6 del 1981; vizio di motivazione.
Censura l´affermata sussistenza dell´obbligo di iscrizione all´Inarcasse nonchè l´affermazione della Corte secondo cui le attività rilevanti ai fini dell´iscrizione dovevano essere identificate anzitutto con le prestazioni a ciascuna professione riservate per le quali era richiesta l´iscrizione, ma considerandole nella più ampia connotazione imposta dalla necessità di non escludere quelle ad esse riconducibili per intrinseca connessione.
Lamenta che l´obbligo di iscrizione alla Cassa sussisteva solo per le attività libero professionali svolte con carattere di continuità ed oggetto di riserva agli iscritti all´albo; che l´attività riservata era quella desumibile dagli artt. 51 e 52 del regolamento approvato con R.D. n. 2537 del 1925 e che l´attività di CTU in materia di infortunistica non rientrava tra quelle riservate agli ingegneri o ad essa connesse; che infatti l´incarico di perito nell´infortunistica stradale veniva affidato anche a periti industriali, geometri ed altre figure professionali.
2) Con il secondo motivo denuncia violazione dell´art. 47 TUIR; del R.D. n. 2537 del 1925, artt. 51, 52 e 56; dell´art. 7.1 Statuto Cassa; della L. n. 6 del 1981, artt. 10 e ss.
Censura l´affermazione della Corte di irrilevanza della circostanza che i CTU sono stati assimilati (per il periodo in contestazione) ai pubblici dipendenti poichè tale parificazione aveva effetti solo tributari.
Rileva che numerosi circolari ministeriali avevano assimilato detti compensi a quelli di lavoro dipendente e alla libera professione e ciò fino all´entrata in vigore della L. n. 350 del 2003.
3)Con il terzo motivo denuncia vizio di motivazione; violazione art. 47 TUIR; R.D. n. 2537 del 1925, artt. 51, 52 e 56; L. n. 1395 del 1923, art. 4; art. 7.1 Stat. Inarcassa.
Censura l´affermazione della Corte che aveva escluso dal reddito del C. le somme percepite quale componente del CDA della S.T.R. per poi affermare che le attività del C., pur non rientrando tra quelle riservate,determinavano l´obbligo di iscrizione all´Inarcasse in violazione delle norme citate.
4) Con il quarto motivo denuncia violazione della normativa in tema di sanzioni ed interessi; vizio di motivazione.
Rileva che ai sensi della L. n. 212 del 2000, art. 10 non erano dovuti interessi e sanzioni allorchè il contribuente si sia uniformato ad indicazioni contenute in atti dell´amministrazione finanziaria o il suo comportamento sia conseguente a ritardi, omissioni o errori dell´amministrazione. Rileva che la Cassa aveva chiesto i contributi solo nel 2003 ingenerando la convinzione nel contribuente di aver ben operato in violazione del principio di buona fede.
5) Con il quinto motivo denuncia l´errato rigetto della domanda di risarcimento del danno derivante dalle ripetute minacce di recupero forzoso delle somme.
6) Con il sesto motivo denuncia violazione dell´art. 40 statuto della cassa, omessa pronuncia.
La Corte non ha pronunciato circa la sua richiesta, in caso di accoglimento della domanda di Inarcassa, di ottenere la compensazione tra le somme dovute ad Inarcassa e quelle dovute da Inarcassa al C. stesso in base al disposto dell´art. 40 statuto Cassa.
Rileva che detta norma stabilisce per gli iscritti che abbiano 65 anni o che si vengano a trovare nelle condizioni di cui all´art. 27 senza aver maturato i requisiti per il diritto a pensione la possibilità di ottenere il rimborso dei contributi.
7) Con il settimo motivo denuncia errata pronuncia sulle spese, violazione degli artt. 91 e 96 c.p.c. per aver compensato le spese di causa pur avendo la Corte ridotto le somme.
I motivi sono infondati.
Con il primo motivo il ricorrente, citando a conforto giurisprudenza di legittimità, sostiene che i contributi previdenziali all´Inarcassa sono dovuti solo sui redditi derivati dall´attività professionale in senso proprio - e quindi da prestazioni riservate agli ingegneri conseguendone la non soggezione all´imposizione contributiva dei redditi procurati da attività estranee a tale previsione, ancorchè sul loro espletamento possa influire, al pari di ogni altro sapere, l´utilizzo delle conoscenze tipiche dell´ingegnere.
La tesi esposta nel primo motivo di ricorso non è condivisibile.
Ritiene il Collegio di dare continuità al principio affermato da questa Corte (cfr Cass 14684/2012, n 9076/2013) che, ribaltando il precedente orientamento di questa stessa Corte, ha affermato che "al fine di stabilire se i redditi prodotti dall´attività di un libero professionista siano qualificabili come redditi professionali, soggetti, come tali, alla contribuzione dovuta alla Cassa previdenziale di categoria, il concetto di "esercizio della professione" debba essere interpretato non in senso statico e rigoroso, bensì tenendo conto dell´evoluzione subita nel mondo contemporaneo (rispetto agli anni cui risale la normativa di "sistema" dettata per le varie libere professioni) dalle specifiche competenze e dalle cognizioni tecniche libero professionali;
evoluzione che ha comportato (come opportunamente si è sottolineato in dottrina) la progressiva estensione dell´ambito proprio dell´attività professionale, con occupazione, da parte delle professioni, di tutta una serie di spazi inesistenti nel quadro tipico iniziale e, specificamente, per la professione di ingegnere, l´assunzione di connotazioni ben più ampie e di applicazioni diversificate rispetto a quelle originariamente previste".
Si è, inoltre, affermato nella citata giurisprudenza di questa Corte che "nel concetto in questione deve ritenersi compreso, oltre all´espletamento delle prestazioni tipicamente professionali (ossia delle attività riservate agli iscritti negli appositi albi) anche l´esercizio di attività che, pur non professionalmente tipiche, presentino, tuttavia un "nesso" con l´attività professionale strettamente intesa, in quanto richiedono le stesse competenze tecniche di cui il professionista ordinariamente si avvale nell´esercizio dell´attività professionale e nel cui svolgimento, quindi, mette a frutto (anche) la specifica cultura che gli deriva dalla formazione tipo logicamente propria della sua professione.
Questa interpretazione, valida per tutte le categorie professionali e che si traduce nell´escludere la sussistenza dell´obbligo contributivo solamente nel caso in cui non sia, in concreto, ravvisabile un intreccio tra tipo di attività e conoscenze tipiche del professionista, è già stata suggerita dalla Corte costituzionale nella nota sentenza n. 402 del 1991, resa a proposito del contributo integrativo dovuto dagli avvocati e procuratori iscritti alla Cassa di previdenza ai sensi della L. n. 576 del 1980, art. 11, comma 1, e nella quale si è esplicitamente affermato che il prelievo contributivo in parola è collegato all´esercizio professionale e che per tale deve intendersi anche la prestazione di attività riconducibili, per loro intrinseca connessione ai contenuti dell´attività propria della libera professione; in sostanza le prestazioni contigue, per ragioni di affinità, a quelle libero professionali in senso stretto, rimanendone escluse solamente quelle che con queste non hanno nulla in comune.
In definitiva secondo la lettura adeguatrice della Corte costituzionale, il parametro dell´assoggettamento alla contribuzione è la connessione fra l´attività (da cui il reddito deriva) e le conoscenze professionali, ossia la base culturale su cui l´attività stessa si fonda; e il limite di tale connessione (e, pertanto, del parametro di assoggettabilità) è l´estraneità dell´attività stessa alla professione".
In conclusione, e rinviando a quanto esposto nella citata sentenza del 29 agosto 2012 n. 14684, deve ritenersi che rientrano nell´attività professionale di ciascuna professione l´assolvimento di tutti quei compiti nei quali il professionista si avvale anche, sia pure non esclusivamente, della sua specifica competenza tecnica e, quindi, sia in fatto, strettamente collegata alle sue cognizioni tecnico-scientifiche.
Nella fattispecie in esame la Corte territoriale, con accertamento in fatto immune da censure, ha affermato che nell´esecuzione degli incarichi peritali in materia di infortunistica stradale il ricorrente aveva effettuato "valutazioni dei luoghi, redazione di planimetrie, calcolo della velocità, spazi di frenata e punti di impatto ed altre attività simili appartenenti alle competenze esclusive dell´ingegnere per cui lo svolgimento con carattere di continuità di tali attività costituiva il presupposto per l´obbligo di iscrizione all´Inarcassa. La decisione della Corte d´appello di Lecce, deve pertanto, essere confermata.
Sono ugualmente infondati il secondo ed il terzo motivo.
La circostanza che nel periodo in contestazione l´attività di consulente fosse parificata a quella del pubblico dipendente è circostanza ininfluente ai fini che qui rilevano in quanto questione attinenti al regime tributario riservato all´attività svolta e non già incidente sugli obblighi verso la Inarcassa. Nessuna contraddittorietà è poi ravvisabile nella sentenza impugnata per aver escluso dall´obbligo contributivo all´Inarcassa l´attività svolta dal C. quale componente del CdA della soc S.T.P. poichè la Corte ha ritenuto tale attività estranea a quelle tipicamente svolte dall´ingegnere o ad esse connesse.
Il quarto motivo è, altresì, infondato in quanto il ricorrente chiede l´applicazione in materia di sanzioni della L. n. 212 del 2000, art. 10 (Disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente) secondo cui non sono dovuti interessi e sanzioni allorchè il contribuente si sia uniformato ad indicazioni contenute in atti dell´amministrazione finanziaria o il suo comportamento è conseguente a ritardi, omissioni errori dell´amministrazione. La norma, infatti, è chiaramente volta a disciplinari i rapporti con l´amministrazione finanziaria e dunque è inapplicabile alla fattispecie in esame.
Il quinto motivo risulta del tutto inammissibile stante la sua assoluta genericità circa il contenuto della domanda risarcitoria, le prove offerte sia sull´an e sia sul quantum.
Anche il sesto motivo risulta inammissibile stante il difetto di autosufficienza.
La Corte d´appello non ha esaminato la questione oggetto del motivo.
Costituisce giurisprudenza consolidata di questa Corte il principio secondo cui l´omessa pronuncia su alcuni dei motivi d´appello, risolvendosi nella violazione della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, integra un difetto di attività del giudice di secondo grado, che deve essere fatto valere dal ricorrente non con la denuncia della violazione di una norma di diritto sostanziale ex art. 360 c.p.c., n. 3 o del vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5, in quanto siffatte censure presuppongono che il giudice di merito abbia preso in esame la questione oggetto di doglianza e l´abbia risolta in modo giuridicamente non corretto ovvero senza giustificare (o non giustificando adeguatamente) la decisione al riguardo resa, ma attraverso la specifica deduzione del relativo "error in procedendo" - ovverosia della violazione dell´art. 112 c.p.c., in relazione all´art. 360 c.p.c., n. 4 - la quale soltanto consente alla parte di chiedere e al giudice di legittimità - in tal caso anche giudice del fatto processuale - di effettuare l´esame altrimenti precluso, degli atti del giudizio di merito e, così, anche dell´atto di appello.
In ogni caso deve rilevarsi, a prescindere dall´erronea indicazione del vizio denunciato, che il motivo in esame è formulato in violazione del principio di autosufficienza in base al quale si impone che il ricorso in cassazione deve contenere tutti gli elementi necessari a porre il giudice di legittimità in grado di avere la completa cognizione della questione controversa e del suo oggetto, di cogliere il significato e la portata delle censure rivolte alle specifiche argomentazioni della sentenza impugnata, senza la necessità di accedere ad altre fonti ed atti del processo, ivi compresa la sentenza stessa.
Nella specie il ricorrente non provvede a trascrivere neppure le conclusioni formulate in primo grado, nè quelle in grado di appello, nè provvede ad esporre le argomentazioni dallo stesso formulate a conforto della domanda.
Pur essendo questa Corte a seguito della denuncia di un vizio di violazione dell´art. 112 c.p.c. in relazione all´art. 360 c.p.c., n. 4 investita del potere di esaminare direttamente gli atti ed i documenti sui quali il ricorso si fonda, resta pur sempre necessario che la censura sia stata proposta dal ricorrente in conformità alle regole fissate al riguardo dal codice di rito (ed oggi quindi, in particolare, in conformità alle prescrizioni dettate dall´art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4). Nemmeno in quest´ipotesi viene meno, in altri termini, l´onere per la parte di rispettare il principio di autosufficienza del ricorso, da intendere come un corollario del requisito della specificità dei motivi d´impugnazione, ora tradotto nelle più definite e puntuali disposizioni contenute nell´art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, sicchè l´esame diretto degli atti che la Corte è chiamata a compiere è pur sempre circoscritto a quegli atti ed a quei documenti che la parte abbia specificamente indicato ed allegato.
Infine è infondato anche il settimo motivo atteso che rientra nei poteri discrezionali del giudice di merito la compensazione delle spese di causa considerato che nella fattispecie la Corte territoriale ha sottolineato che l´appello aveva trovato accoglimento entro limiti ridotti e dunque la Inarcasse restava sostanzialmente vittoriosa.
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a pagare le spese processuali che liquida in Euro 100,00 per esborsi ed Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre 15% per spese generali ed accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 24 febbraio 2016.
Depositato in Cancelleria il 27 maggio 2016
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