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Post-Covid 19: la lenta ripresa!

Ivana

Ripartire non è facile. E' passato quasi un mese dall'atteso 3 giugno, data che ha segnato la riapertura delle frontiere regionali e nazionali, eppure c'è qualcosa che non va. Non si respira quell'aria di libertà, indipendenza e spensieratezza che ha contraddistinto i giorni, i mesi e gli anni precedenti al cosiddetto "lockdown", eh no! Qualcosa è cambiato. Siamo cambiati noi, le nostre abitudini, il nostro modo di pensare, la nostra socialità, il modo di vivere la quotidianità. Ma al di là degli effetti negativi legati all'isolamento, ai correlati problemi psicologici e ai pochissimi aspetti positivi (il ritrovato senso della famiglia e di valori ormai perduti), vi è un dato che emerge: la presa di coscienza che la libertà ha un valore inestimabile. Negli ultimi mesi, quella stessa libertà è stata sacrificata, e direi giustamente, per il bene di tutti. Eppure c'è qualcosa che non va. La gente è tornata a circolare per le vie delle città; gli aperitivi sono tornati di gran moda e i negozi di livello medio-basso sono strapieni. Tutto come ai tempi del pre-covid 19, ma a pelle si percepisce che quella normalità sbandierata ai quattro venti è apparente, non è reale. Gran parte della gente ha una paura immane di ritrovarsi senza lavoro e chiusa in casa per una nuova ondata di corona virus, mentre fonti attendibili parlano di crisi economica senza precedenti, i cui effetti saranno visibili da settembre. Un dato per nulla confortante se consideriamo la precarietà degli interventi messi in campo dal governo che, ad onor del vero, appare molto confuso nelle azioni da intraprendere. Una sorta di immobilismo che spiazza il comune cittadino ormai abituato al bombardamento mediatico dei mesi scorsi e sempre in attesa di sentire buone nuove ma con scarsi risultati. Tra i tanti dati che saltano all'occhio vi è la questione di genere che, ancora oggi, non trova la giusta collocazione tra le priorità del governo; come dire, tante chiacchiere e pochi fatti.

Purtroppo i casi di violenza sulle donne sono una costante, molte perdono la vita per mano di uomini violenti e tante altre subiscono violenze fisiche e psicologiche. Anche in questo caso la pandemia ha lasciato il segno: i casi di femminicidio sono aumentati (34 vittime, dal 5 gennaio al 27 giugno), lo stesso dicasi delle violenze domestiche. I dati Istat parlano di chiamate, contatti e vittime in crescita rispetto allo stesso periodo del 2019: + 59% di vittime di violenza (ovvero 2.013 donne), + 9,8% di violenze fisiche (52,7% segnalazioni), + 5,3% di violenze psicologiche (43,2% segnalazioni). Il periodo di chiusura per molte è stato un incubo, in cui violenza, umiliazione e sofferenza hanno regnato incontrastate. In questi mesi si è parlato della violenza sulle donne nei termini di "emergenze nell'emergenza"; in effetti è "un'emergenza permanente" che richiede azioni concrete e immediate atte a promuovere una nuova cultura capace di contrastare qualsiasi forma di violenza di genere.

Nei giorni scorsi un noto quotidiano nazionale "Il Messaggero" ha pubblicato un articolo in cui vengono elencate le quattro priorità per la parità di genere: sostegno alla maternità, lotta agli stereotipi, allargamento della partecipazione agli organi apicali e incremento della rappresentanza femminile nelle gerarchie. A questi, Pina Arena dell'associazione "Toponomastica femminile", ne aggiunge un quinto, che colloca in cima alle priorità: "promuove la cultura della parità a scuola, dalla materna". A conti fatti basterebbe davvero poco ad innescare la miccia del cambiamento.

 

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