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Paola Egonu: «Schiaccio anche il razzismo. Il futuro? Da avvocato»

Il suo braccio potente è stato determinante per la qualificazione della nazionale azzurra di volley ai Mondiali 2018. E pensare che Paola Egonu in palestra non ci voleva andare...

Pelle d´ebano, braccio d´acciaio. Paola Egonu è la speranza azzurra da cui ripartire per costruire una Nazionale di pallavolo femminile competitiva dopo la delusione di Rio. Lei che nella stagione appena conclusa ha messo a segno qualcosa come 513 punti in 21 partite disputate, lei che ha posto la sua firma nella qualificazione ai Mondiali 2018 appena conquistata sul campo, lei che di anni ne ha solo 18.

I suoi genitori sono nigeriani, il suo accento invece è veneto così come quello dei suoi fratelli Angela (16) e Andrea (11) che ora si sono trasferiti a Manchester insieme ai genitori e da lì vivono la carriera di una ragazza che sta diventando grande dentro e fuori dal campo.

Il prossimo anno vestirà la maglietta di Novara, fresco campione d´Italia con la sua capitana Francesca Piccinini. «E pensare che all´inizio la pallavolo proprio non mi piaceva...»

Come, scusi?
«Avevo 12 anni, ero una ragazza timida e riservata e l´idea di stare in mezzo a così tante ragazze che non conoscevo mi mise subito in una situazione di disagio. Mi chiedevo: ma chi me lo ha fatto fare? E mi sono promessa di non tornare mai più in palestra».

Chi glielo aveva fatto fare?
«Mio padre Ambi. La verità è che passavo i miei pomeriggi sul divano a guardare la Tv senza avere nulla da fare se non i compiti che finivo sempre velocemente. Non che la cosa mi dispiacesse, ci stavo bene in quella pigrizia. Ma mio padre mi propose di provare a trovare un hobby, qualcosa che riempisse i miei pomeriggi».

Dall´odio all´amore per il suo sport. Cos´è successo?
«È scattata la scintilla. Ho cominciato a divertirmi e dopo nemmeno un anno sono stata convocata per partecipare a un regional day dove sarei stata seguita da allenatori di alto livello. Poi sono diventati tre giorni di stage a Milano e infine quattro anni di allenamento nel Club Italia, il progetto che vuole creare un vivaio per le Nazionali Seniores».

Tutto così facile?
«Assolutamente no. All´inizio mica ci volevo andare, ero titubante perché l´avventura era nuova. Ancora una volta sono stati i miei genitori a darmi una possibilità importante. Ovviamente mi mancava molto casa e la pallavolo stava diventando la mia vita: passai da tre allenamenti a settimana di un´ora e mezzo a un allenamento al giorno di tre ore ciascuno».

Cosa direbbe oggi alla ragazzina di 13 anni che iniziava quella avventura?
«Di stare tranquilla e di prendersi il proprio tempo. Di non agitarsi troppo se le cose non venivano al primo colpo e di fidarsi delle compagne di squadra. Ci vuole tempo, lavoro e la voglia di imparare sempre qualcosa dalle giocatrici più grandi che hanno la giusta esperienza per affrontare le grandi sfide».

E alla donna che sarà, vuole dire qualcosa?
«Sogno di fare l´avvocato, soffro molto le ingiustizie che ci sono oggi tra le persone comuni. Lottare per chi sta in situazioni di svantaggio mi fa sentire meglio. Attraverso le mie interviste ho parlato apertamente di razzismo e penso di aver aiutato molte ragazze che vivono il mio stesso disagio ma non hanno il coraggio di esternarlo. Ecco, nel mio futuro vorrei sempre ricordarmi da dove sono partita e quali sono le mie battaglie. Ora però si pensa al presente, al lavoro in palestra e alla maglia azzurra, la più bella che ci sia».
Fonte: Vanity Fair 19.6.2017



 

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