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Noi avvocati, precari della solitudine

Alberto-Pezzini
Il 9 novembre 1995 veniva assassinato alla sera, all´uscita dallo studio, a Catania, Serafino Famà.
Era un avvocato penalista.
 
La toga per lui non era soltanto un lavoro.
Ci credeva, scrisse sua figlia Flavia in una lettera.
Onestà e coraggio.
Se ce l´hai, non devi avere paura di niente.
 
Venne ucciso perchè sconsigliò ad una propria assistita di rendere una testimonianza che avrebbe giovato ad un boss detenuto.
L´avvocato di quest´ultimo aveva esortato la donna a renderla.
Serafino, invece,l´aveva dissuasa perchè non era giusto.
 
Il boss venne condannato e il suo avvocato diede la colpa a Famà che non aveva voluto ascoltare un consiglio.
 
Poche frasi per dire cosa siamo noi avvocati.
Quante volte abbiamo ricevuto consigli da clienti, o peggio, amici dei clienti, che ci ammonivano su come impostare la linea difensiva giusta ?
Quante volte abbiamo fatto finta di non capire oppure – a muso duro – li abbiamo mandati a cagare ?
 
La nostra solitudine sta anche in questo, nel difendersi da alcune situazioni che nei libri di scuola, all´università, non troveremo mai.
Quanta pesa la solitudine per un avvocato è una vita che me lo domando.
 
Ogni volta che vanno via i collaboratori, l´impiegata chiude la porta dietro di sé, e tu magari resti ancora lì, a guardare le carte sotto la lampada.
 
Quella è solitudine, stare soli con un processo davanti e magari non sai che pesci pigliare.
Oppure quando devi decidere in un secondo il destino di una persona che trema impercettibilmente accanto a te e non sa cosa stia succedendo.
 
Non puoi chiedere consiglio a tua moglie anche se ne parli con lei.
Ti sfoghi umanamente, le vomiti addosso quello che di insopportabile a livello umano ti hanno trasmesso in giornata perchè hai bisogno di una spalla per sfogare su di essa la frustrazione degli sbagli commessi.
 
Che appaiono sempre infiniti, talmente numerosi da diventare non numerabili.
Sono una massa amorfa, come la sabbia o la nebbia. Un nemico imprendibile.
A tua moglie o a tuo marito non puoi chiedere altro aiuto.
Puoi domandare loro soltanto di accogliere la tua stanchezza del giorno, come un porto. E basta.
 
I problemi tecnici, le questioni vere che discendono come un precipitato necessario da quelle giudiziarie vengono a letto con te, rinserrate in un mutismo che pare ossidiana.
Invulnerabile e soffocante come un sudario invisibile o del cazzo, fate voi. Come vi pare.
Cavalieri dimezzati dalle nostre solitudini, ecco cosa siamo.
 
Mi ricordo Ettore Randazzo che in un libro parlava della solitudine operativa quando al mattino presto si beava di stare in studio senza telefoni squillanti, il vociare del giorno, soltanto in compagnia del silenzio che fa scattare le idee in testa come gazzelle nella savana.
 
Se penso che quindici giorni prima di morire gli parlai al telefono.
Poi è andato via, trascolorato così, un avvocato tanto bravo e importante da farmi sentire inadeguato ogniqualvolta lo incontrassi, è morto all´improvviso.
 
E´ proprio niente morire, come disse Italo Svevo alla figlia sul letto di morte.
Anche lì siamo soli, ma quella condizione l´accetto di più perchè necessitata, e più naturale per noi uomini.
 
Chi ci difenderà dalla marea delle difficoltà, a noi gente senza paracadute, se muoiono anche uomini come Ettore Randazzo, che ha sempre difeso tutti gli avvocati in quanto tali, chi ci difenderà ancora ?
 
Noi che se non andiamo a lavorare non incassiamo un euro.
Noi, che se ci ammaliamo, come facciamo a garantire la pagnotta alla nostra famiglia.
Ma che cazzo di professione è la nostra in cui non abbiamo neanche un fondo che garantisca le nostre famiglie dalla solitudine economica a cui siamo condannati se non possiamo andare in studio per una malattia ?
 
A volte di notte ci penso.
L´unica ricchezza di noi stessi siamo noi.
Vi lascio con l´ultima nota pessimistica (oggi mi girano) che sento di condividere.
Vi ricordate l´11 settembre del 2001 ?
Si, e come fate a dimenticarlo.
Vi ricordate che Oriana Fallaci avrebbe scritto di lì a poco un articolo comparso per la prima volta in quattro pagine fitte sul Corriere della Sera e poi destinato a diventare un libro apocalittico e meno integrato?
La rabbia e l´orgoglio, si chiamava, e fece ancora più ricca la Rizzoli e Oriana. Bene.
 
Se condividiamo – e finalmente abbiamo il coraggio di farlo a viso aperto – quelle tesi di Oriana (che vorrei riassumere nell´immagine icastica dalla stessa usata per cui se un marocchino mette la mano in mezzo alle cosce di una donna vicino a Ponte Vecchio a Firenze e la donna urla, l´extracomunitario grida anche lui che ha i suoi diritti), come facciamo a continuare a difendere queste persone ?
E´ possibile conciliare il nostro dovere, l´amore per la toga, con chi sta sistematicamente uccidendo noi occidentali ?
 
 

 

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