, hanno "esortato" i giudici di merito che spesso si sono mostrati troppo generosi nei confronti dei superstiti che richiedevano il risarcimento danni, ad essere rigorosi nell´esaminare tali richieste.
Gli stessi infatti vengono invitati a verificare con cura che i richiedenti abbiano allegato gli elementi di fatto su cui si fonda la domanda sia sull´an debeatur che sul quantum. I giudici di legittimità hanno sentire il dovere di rilevare quanto sopra detto perché troppo spesso sono state riscontrate domande fondate su enunciazioni generiche, astratte o ipotetiche.
Nel caso di specie era accaduto che i superstiti congiunti di una persona che era deceduta mentre svolgeva la sua attività lavorativa come operaio in una cava, si erano rivolti al Tribunale per richiedere iure proprio il risarcimento dei danni subiti per perdita del rapporto parentale.
Il giudice di primo grado accoglieva la domanda e lo stesso faceva la Corte di Appello a cui si era rivolta la convenuta società datrice di lavoro che aveva impugnato la sentenza del Tribunale.
Avverso la sentenza della Corte territoriale che aveva confermato la pronuncia di primo grado con la quale si riconosceva un danno di euro 1.695.000 a tutti gli attori intervenuti nel giudizio a vario titolo, proponeva ricorso in Cassazione la parte soccombente.
Tra i vari motivi proposti, prenderemo in esame solo il quarto e il quinto motivo che hanno sollevato vizi della sentenza impugnata relativi al tema che in questa sede ci i stiamo occupando.
Con il quarto motivo ("Violazione di norme di diritto, in particolare dell´art. 2729 c.c. (presunzioni semplici) la società ricorrente sostiene che dette presunzioni siano state utilizzate per colmare l´omessa allegazione degli elementi costitutivi del danno reclamato. Inoltre si duole della liquidazione del danno operata dalla Corte territoriale facendo ricorso a criteri presuntivi (quali il rapporto di parentela e di coniugio per giungere alla individuazione dei soggetti legittimati al risarcimento) ed a criteri equitativi per determinarne l´ammontare. A tal fine la ricorrente richiama il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo il quale il danno morale deve formare oggetto di allegazione prima e di prova poi e non può essere considerato esistente in re ipsa sicchè la prova presuntiva per affermare l´esistenza del menzionato danno si può utilizzare solo in presenza di una adeguata allegazione fattuale degli elementi costitutivi del danno reclamato (Cass. 19/01/2007 n. 1203 e Cass. 19/01/2009 n. 24435). Nel caso di specie, l´assenza di allegazioni fattuali (intensità del relativo vincolo familiare, abitudini di vita e di frequentazione nonchè la situazione di convivenza) renderebbe impossibile il ricorso a presunzioni semplici.
Con il quinto motivo ("Violazione e falsa applicazione di norme di diritto, in particolare dell´art. 2056 c.c. e art. 1226 c.c. in relazione alla valutazione equitativa del danno") la società ricorrente lamenta che nella liquidazione del danno sia mancata la necessaria personalizzazione con particolare riguardo ai fratelli e all´ascendente prevedendosi in base alle Tabelle di Milano la metà del massimo senza che si sia provato l´effettivo danno da costoro subito.
I giudici della Terza Sezione della Corte hanno ritenuto fondati questi due motivi del ricorso e a tal fine hanno richiamato il consolidato il principio in base al quale il danno non patrimoniale da morte del congiunto, quale tipico danno non è in re ipsa e come tale deve essere allegato e provato da chi chiede il relativo risarcimento. (cfr. Cass. Sez. 3, 11/11/2003, n. 16946; Cass. Sez. 3, 06/09/2012 n. 14931).
Infine, nella motivazione della decisione in commento, hanno precisato, che il danno non patrimoniale, "anche quando sia determinato dalla lesione di diritti inviolabili della persona, costituisce danno conseguenza che deve essere allegato e provato, non potendo condividersi la tesi che trattasi di danno in re ipsa, sicchè dovrà al riguardo farsi ricorso alla prova testimoniale, documentale e presuntiva (Cass. Sez. U. 11/11/2008, n. 26972)".
Per tali ragioni, secondo i giudici della Cassazione, la Corte d´Appello ha errato nel considerare il danno in re ipsa, pertanto gli stessi hanno accolto il quarto e il quinto motivo e hanno cassato la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinviato ad altra Sezione della Corte di appello di Bari, anche perchè provveda sulle le spese del giudizio di cassazione.
Si allega testo sentenza