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Al padre avvocato non spetta indennità maternità al posto del coniuge

Lo ha stabilito la Suprema Corte di Cassazione con sentenza n. 8594 del 2016, con la quale, esaminando la fattispecie ad essa rimessa, ha escluso la possibilità per il padre avvocato di percepire l´indennità di maternità al posto della moglie.
Questi i fatti.
Il Tribunale di Catania con sentenza del 2.11.2011 dichiarava il diritto dell´attore, avvocato, a percepire l´indennità di maternità (in alternativa alla madre) e condannava la cassa nazionale a corrispondere il relativo importo all´attore.
La Corte di appello di Palermo con sentenza del 30.3.2011, in riforma della detta sentenza, rigettava invece la domanda.
La Corte territoriale osservava che la sentenza di prime cure muoveva da un interpretazione costituzionalmente orientata dell´art. 70, ma che la sentenza della Corte costituzionale n. 385/2005 aveva si definito discriminatoria la norma che non attribuiva la predetta facoltà anche al padre libero professionista, ma aveva demandato al legislatore di stabilire un meccanismo attuativo che, non essendo stato predisposto, privava la pretesa di un ancoraggio legale.
La Corte aveva posto in risalto le differenze sussistenti tra le due categorie di genitori. La diversità di genere poteva giustificare una maggiore e speciale tutela per la madre biologica; la Corte costituzionale con la sentenza n. 285/2010 aveva poi sottolineato che una divergenza di disciplina poteva essere giustificata in relazione alla protezione specifica della salute della madre, per cui spettava al legislatore perequare con un provvedimento di legge la minorata tutela riservata al genitore di sesso maschile utilizzando la propria discrezionalità anche alla luce dell´orientamento della Corte delle leggi.
Orbene, il professionista attore proponeva, per la cassazione di tale decisione, ricorso innanzi la Suprema Corte.
Con il primo motivo, il ricorrente lamentava la violazione e falsa applicazione di norme di diritto, ed in particolare dell´art. 136 Cost. e degli articoli 70/72 del Lgs. n. 151/2001, dichiarati illegittimi dalla Corte costituzionale con Sentenza n. 385/2005 nella parte in cui non prevedevano il principio che al padre spetti di percepire in alternativa alla madre l´indennità di maternità, attribuita solo a quest´ultima.
La decisione di primo grado, che a lui aveva dato ragione, era secondo il ricorrente corretta e da confermare tenuto conto della Sentenza n. 385/2005 che, dichiarando come detto l´incostituzionalità delle due cennate disposizioni, non aveva fatto riferimento ai soli casi di adozione ed affido, ma che, secondo il ricorrente, riguardava tutti i casi di paternità ed aveva un chiaro carattere precettivo non creando alcun vuoto normativo, ed implicando comunque un obbligo di interpretazione conforme in senso antidiscriminatorio e volto a garantire parità di trattamento per padri e madri.
Il ricorrente, per sostenere la propria tesi, ricordava la direttiva europea sui congedi parentali e l´art. 16 della Carta comunitaria dei diritti sociali del 9.12.1989.
Il motivo è stato però ritenuto dai Supremi Giudici infondato.
La Corte ha infatti osservato che le questioni sollevate dal ricorrente avevano trovato una condivisibile e ragionevole risposta nella sentenza n. 285/2010 con la quale la Corte costituzionale aveva dichiarato la inammissibilità della questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 151 del 2001, art. 70 (sollevata dalla Corte di appello di Venezia) con riferimento proprio ad un caso nel quale si rivendicava l´indennità di maternità per un padre biologico.
Le situazioni poste a raffronto sono state infatti considerate differenti, pur essendo esse accomunate dalla finalità di protezione del minore.
Ricostruito il quadro ordinamentale statale, la Corte Costituzionale, con la sua pronuncia, aveva ritenuto irragionevole non estendere al padre il diritto all´astensione obbligatoria e, conseguentemente, all´indennità di maternità ad essa collegata, ma con esclusivo riferimento ai casi in cui la tutela della madre non era possibile a seguito di morte o di grave impedimento della stessa, e ciò in quanto in simili ipotesi gli interessi che l´istituto dell´astensione obbligatoria può tutelare sono solo quelli del minore ed è quindi rispetto a questi che esso deve rivolgersi in via esclusiva.
La Corte ha quindi rilevato che la decisione del 2005 non solo non poteva essere considerata, come sostenuto dal ricorrente, auto-applicativa (self-executing), ma era perfino dubbio che la stessa decisione potesse riguardare anche casi diversi da quello espressamente esaminato (che non riguardava la paternità biologica, essendo comunque necessario un intervento del legislatore volto a delineare il punto di bilanciamento tra principio di parità di trattamento tra coniugi, diritti del bambino e protezione specifica della salute e dell´integrità psico-fisica della madre in ordine a tutte le provvidenze che sono connesse all´evento "nascita biologica").
Infatti, nel caso dell´indennità di maternità, sussiste una specificità protettiva (che giustifica una tutela più intensa della sola donna) che riguarda proprio la salute della madre biologica per cui la parità di trattamento tra coniugi è assicurata in relazione a diverse ipotesi come l´infermità della madre o il suo abbandono del nucleo familiare o nei casi di adozione ed affidamento che giustificano una estensione anche al padre della provvidenza in discorso.
Pertanto la natura discriminatoria dell´esclusione dall´indennità di maternità dei genitori di sesso maschile non è sembrata alla Corte presentare i denunciati connotati discriminatori nè sotto il profilo interno che sotto quello sovranazionale.
Da ciò il rigetto del ricorso.
Sentenza allegata
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