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Negligenza avvocato: va provato il nesso tra questa e il danno e tra danno e conseguenze risarcibili

Negligenza avvocato: va provato il nesso tra questa e il danno e tra danno e conseguenze risarcibili

Nel giudizio promosso dall'avvocato nei confronti del suo cliente al fine di ottenere la condanna di quest'ultimo al pagamento del compenso professionale, l'ex assistito può formulare l'eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c. per la violazione dell'obbligo di diligenza da parte del difensore. In questi casi, però, la negligenza deve essere idonea a incidere sugli interessi del cliente, non potendo il professionista garantire l'esito comunque favorevole del giudizio ed essendo contrario a buona fede l'esercizio del potere di autotutela ove la negligenza nell'attività difensiva, secondo un giudizio probabilistico, non abbia pregiudicato la chance di vittoria (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 25894 del 15/12/2016, Rv. 642162; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 11304 del 05/07/2012, Rv. 623151). Pertanto, il cliente, per sentir accogliere l'eccezione su citata deve provare non solo il nesso causale tra la negligenza dell'avvocato e il danno subito, ma anche il nesso causale tra questo e le conseguenze risarcibili.

Questo è quanto ha ribadito la Corte di cassazione con ordinanza n. 7064 del 12 marzo 2021.

Ma vediamo nel dettaglio la questione sottoposta all'esame dei Giudici di legittimità.

I fatti di causa

L'avvocato controricorrente ha agito nei confronti del suo ex cliente ricorrente per chiedere la condanna di quest'ultimo al pagamento del compenso maturato a fronte delle prestazioni professionali rese per l'assistenza prestata. Nel corso del giudizio si è costituito il ricorrente che:

  • ha eccepito l'inadempimento del professionista per aver violato, quest'ultimo, l'obbligo di diligenza;
  • ha formulato domanda riconvenzionale per la restituzione dell'acconto e il risarcimento del danno.

In buona sostanza il ricorrente lamenta il fatto che l'avvocato controricorrente ha errato nella scelta della giurisdizione, optando per quella ordinaria in luogo di quella amministrativa.

In primo grado, il Tribunale adito ha respinto entrambe le domande (sia quella principale e sia l'eccezione di inadempimento) ritenendole non provate. Il legale ha impugnato tale decisione. La Corte di Appello adita ha accolto in parte l'appello, condannando il ricorrente al pagamento in favore del legale della somma di euro 7.599,53, oltre accessori e alle spese del doppio grado.

Così il caso è giunto dinanzi alla Corte di cassazione.

Ripercorriamo l'iter logico-guridico seguito da quest'ultima autorità giudiziaria.

La decisione della SC

Innanzitutto i Giudici di legittimità richiamano quell'orientamento giurisprudenziale secondo cui la responsabilità del prestatore di opera intellettuale nei confronti del proprio cliente per negligente svolgimento dell'attività professionale presuppone la prova del danno e del nesso causale tra la condotta del professionista e il pregiudizio del cliente (Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 13873 del 06/07/2020). Questo sta a significare che la perdita di chance non si configura come un danno di per sé, occorrendo che tale perdita abbia una certezza o un'elevata probabilità di avveramento, da desumersi in base a elementi certi ed obiettivi (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 22376 del 10/12/2012).

E ciò in considerazione del fatto che, quando si discute di responsabilità professionale dell'avvocato per omesso svolgimento di un'attività e del vantaggio personale o patrimoniale per il cliente che sarebbe derivato se detta attività fosse stata svolta, occorre applicare la regola della preponderanza dell'evidenza o del "più probabile che non", attraverso la cui applicazione vanno accertati:

  • da un lato, il nesso di causalità fra l'omissione e l'evento di danno;
  •  dall'altro, il nesso tra il danno, quale elemento costitutivo della fattispecie, e le conseguenze dannose risarcibili. Un accertamento, questo, che potrà essere effettuato solo mediante un giudizio prognostico sull'esito che avrebbe potuto avere l'attività professionale omessa (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 25112 del 24/10/2017).

Da queste argomentazioni emerge che in un giudizio promosso dall'avvocato contro il proprio cliente, finalizzato a sentir condannare quest'ultimo al pagamento del compenso per l'attività prestata, l'eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c. formulata dal cliente per la violazione dell'obbligo di diligenza professionale del legale non potrà trovare accoglimento se la negligenza lamentata non ha inciso sugli interessi dell'ex parte assistita. Infatti, in tema di responsabilità professionale dell'avvocato, la negligenza rileva solo quando, secondo un giudizio probabilistico, essa abbia pregiudicato la chance di vittoria (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 25894 del 15/12/2016, Rv. 642162; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 11304 del 05/07/2012, Rv. 623151). Orbene, nel caso di specie, il ricorrente non ha fornito la prova che, se la sua domanda fosse stata proposta innanzi al giudice amministrativo, anziché innanzi a quello ordinario, la stessa avrebbe avuto, con ragionevole probabilità, un esito favorevole. In difetto di detta prova, che la Corte di Appello non ha ravvisato neppure in via presuntiva, è stata correttamente disattesa non soltanto la domanda riconvenzionale restitutoria e risarcitoria proposta dalla cliente, ma anche la stessa eccezione di inadempimento, posto che, a fronte di una attività professionale effettivamente eseguita, il compenso è di regola dovuto al prestatore dell'opera.

Alla luce delle considerazioni sin qui svolte, pertanto, la Corte di cassazione, ritenendo l'impugnazione del ricorrente mera istanza di revisione del giudizio di merito svolto dalla Corte territoriale, estranea alla finalità e alla natura del giudizio di legittimità (Cass. Sez. U, Sentenza n. 24148 del 25/10/2013, Rv. 627790), ha dichiarato inammissibile il ricorso. 

 

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