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Con l'ordinanza n. 10647 depositata lo scorso 5 giugno, la VI sezione civile della Corte di Cassazione, chiamata a pronunciarsi sulla congruità dell'importo determinato dalla Corte territoriale in relazione ad un assegno divorzile, ha accolto le richieste del marito secondo cui, nella quantificazione dell'assegno,occorreva tener conto anche della breve durata del matrimonio e della mancanza di figli.
Si è difatti specificato che "la limitata durata del vincolo matrimoniale (sei anni) potrebbe assumere nuova luce se si considera che l'assegno divorzile è stato di fatto corrisposto per diversi anni dal momento in cui è stato attribuito e determinato nel 2013, al fine di giustificare potenzialmente una attualizzazione dell'assetto patrimoniale post-coniugale, in applicazione di un criterio, qual è quello della durata del matrimonio, rilevante anche ai fini della revisione delle condizioni patrimoniali degli ex coniugi".
Nel caso sottoposto all'attenzione della Cassazione, il Tribunale di Roma pronunciava la cessazione degli effetti civili del matrimonio di una coppia di coniugi, ponendo a carico del marito il pagamento di un assegno divorzile di 1.800,00 Euro mensili rivalutabili annualmente secondo indici ISTAT.
Adendo la Corte di Appello, l'uomo chiedeva la revoca o riduzione dell'assegno divorzile, in ragione del fatto che erano peggiorate le proprie condizioni economiche e patrimoniali, a fronte del miglioramento di quelle dell'ex moglie.
A tal fine evidenziava come l'ex moglie, che all'epoca del divorzio non lavorava, negli anni successivi aveva avviato una propria attività ed era vicina ormai all'età pensionabile; era proprietaria di una porzione di un villino e di un terreno agricolo e aveva ricevuto in eredità l'importo di Euro 117.801,00 e un appartamento a Roma; di contro l'uomo, oltre ad aver contratto numerosi debiti da onorare, si era risposato con una persona che doveva mantenere.
La Corte di appello, con decreto, rigettava la domanda, ritenendo che i motivi sopravvenuti indicati dall'uomo fossero inidonei a giustificare una revisione dell'assegno, in quanto non si trattava di circostanze idonee a modificare in modo significativo l'assetto economico patrimoniale delle parti.
Ricorrendo in Cassazione, l'uomo censurava la decisione della Corte di merito per aver ignorato i nuovi principi elaborati in sede giurisprudenziale circa i criteri di attribuzione e quantificazione dell'assegno divorzile: il matrimonio era durato solo sei anni, l'ex moglie non aveva mai contribuito al menage familiare, né esistevano figli.
In secondo luogo il ricorrente denunciava l'omesso esame di fatti decisivi a dimostrazione della minore consistenza e capacità reddituale del ricorrente, derivanti in particolare dal successivo matrimonio con persona che egli doveva mantenere; i giudici di merito, infine, non avevano neanche considerato che l'ex coniuge aveva la possibilità di vivere agiatamente in casa di proprietà, essendo titolare di una ingente consistenza bancaria ricevuta in eredità e prossima beneficiaria della pensione di vecchiaia.
La Cassazione condivide le difese formulate dal ricorrente.
Gli Ermellini ricordano che la revisione dell'assegno divorzile di cui all'art. 9 della legge n. 898 del 1970 postula l'accertamento di una sopravvenuta modifica delle condizioni economiche degli ex coniugi idonea a mutare il pregresso assetto patrimoniale realizzato con il precedente provvedimento attributivo dell'assegno, secondo una valutazione comparativa delle loro condizioni, quale presupposto fattuale necessario per procedere al giudizio di revisione dell'assegno, da rendersi, poi, in applicazione dei principi giurisprudenziali emergenti dalle recenti pronunce rese dalla Cassazione in materia.
Al giudice di merito è rimessa la valutazione degli elementi probatori dedotti dal richiedente, ai fini della revisione delle condizioni patrimoniali conseguenti al divorzio, di cui deve dare adeguata motivazione.
Con specifico riferimento al caso di specie, la sentenza in commento rileva come, dal decreto impugnato, non emerga il percorso logico giuridico che ha portato la Corte di appello a rigettare la richiesta di riduzione e, anzi, la motivazione del decreto impugnato risulta apparente e apodittica e, dunque, censurabile, ai sensi dell'art. 360, n. 5, c.p.c.
Difatti, numerosi erano gli elementi fattuali, sebbene potenzialmente decisivi, di cui il giudice di merito avrebbe dovuto tenere in considerazione ma che ha invece ignorato.
In particolare, non ha considerato la non trascurabile eredità (consistente in denaro e un immobile) acquisita dall'ex moglie, i sopravvenuti oneri familiari dell'obbligato derivanti dal nuovo matrimonio, la cui rilevanza è riconosciuta dalla giurisprudenza quale circostanza sopravvenuta che può portare alla modifica delle condizioni originariamente stabilite.
Inoltre la Corte di merito ha omesso di considerare come la limitata durata del vincolo matrimoniale (sei anni) potrebbe assumere nuova luce se si considera che l'assegno divorzile è stato di fatto corrisposto per diversi anni dal momento in cui è stato attribuito e determinato nel 2013, al fine di giustificare potenzialmente una attualizzazione dell'assetto patrimoniale post-coniugale, in applicazione di un criterio, qual è quello della durata del matrimonio, rilevante anche ai fini della revisione delle condizioni patrimoniali degli ex coniugi (cfr. art. 5, comma 6, della legge n. 898 del 1970).
Compiute queste precisazioni, la Cassazione accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato e rinvia alla Corte d'appello di Roma, in diversa composizione, anche per le spese.
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