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Mantenimento figli maggiorenni, Cassazione: “Va escluso se il ragazzo spaccia droga”

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Con l'ordinanza n. 17075 depositata lo scorso 26 maggio, la VI sezione civile della Corte di Cassazione ha confermato la legittimità di una sentenza di appello con la quale, in relazione al una causa concernente l'obbligo di mantenimento per i figli maggiorenni ma non ancora autosufficienti, si era revocato l'obbligo di mantenimento a carico di un padre verso il figlio accusato per spaccio di droga.

Si è difatti precisato che "il diritto del figlio maggiorenne al mantenimento sussiste solo fin quando è in atto un percorso formativo avente ad oggetto la ricerca di un'attività lavorativa e l'inserimento nel mondo professionale, non quando invece manca qualsiasi progettualità o iniziativa in ordine all'inserimento nel mondo del lavoro come nella fattispecie in cui il figlio non dimostri alcun interesse ad intraprendere una qualsiasi carriera".

Nel caso sottoposto all'attenzione della Cassazione, il Tribunale di Brindisi dichiarava cessati gli effetti civili del matrimonio contratto tra una coppia di coniugi, disponendo l'assegnazione della casa coniugale alla ex moglie in quanto vi abitava con il figlio ventunenne non autosufficiente. 

La Corte di Appello di Lecce revocava l'assegnazione della casa coniugale disposta in sede di divorzio in quanto, all'esito di una perquisizione domiciliare presso tale abitazione, erano state rinvenute sostanze stupefacenti tra cui cocaina e 4.000,00 Euro in contanti; all'esito della perquisizione, il ragazzo, unitamente alla madre, erano stati tratti in arresto con l'accusa di spaccio di sostanze stupefacenti.

Ricorrendo in Cassazione, la mamma eccepiva violazione e falsa applicazione degli articoli 115 e 360 c.p.c., in quanto la Corte di Appello di Lecce aveva ritenuto estinto l'obbligo ex lege del padre al mantenimento del figlio e, per l'effetto, aveva revocato l'assegnazione della casa coniugale alla ex moglie sul presupposto il figlio fosse dedito allo spaccio di stupefacenti insieme alla madre, ambedue arrestati per tale reato.

Al contrario, secondo la ricorrente, tale obbligo era ancora esistente in quanto l'accusa di spaccio a carico del figlio era infondata ed, in ogni caso, non era intervenuta alcuna sentenza definitiva di condanna.

La Cassazione non condivide le tesi difensive della ricorrente. 

Gli Ermellini ricordano che, ai fini del riconoscimento dell'obbligo di mantenimento dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente, ovvero del diritto all'assegnazione della casa coniugale, il giudice di merito è tenuto a valutare, con prudente apprezzamento, caso per caso e con criteri di rigore proporzionalmente crescenti in rapporto all'età dei beneficiari, le circostanze che giustificano il permanere del suddetto obbligo o l'assegnazione dell'immobile, fermo restando che tale obbligo non può essere protratto oltre ragionevoli limiti di tempo e di misura, poiché il diritto del figlio si giustifica nei limiti del perseguimento di un progetto educativo e di un percorso di formazione, nel rispetto delle sue capacità, inclinazioni e (purché compatibili con le condizioni economiche dei genitori) aspirazioni.

Con specifico riferimento al caso di specie, gli Ermellini rilevano come la Corte di appello abbia revocato l'assegnazione della casa coniugale (di proprietà del marito) alla ex-moglie con congrua motivazione, considerato che l'avvenuto arresto e gli esiti della perquisizione domiciliare costituivano gravi indizi dai quali la Corte aveva desunto che il figlio non impiegasse energie alla ricerca di un'onesta attività lavorativa e, pertanto, la mancanza di autosufficienza allo stesso imputabile non poteva gravare sul padre quanto al suo mantenimento.

Sul punto, la Cassazione ricorda che il diritto del figlio maggiorenne al mantenimento sussiste solo fin quando è in atto un percorso formativo avente ad oggetto la ricerca di un'attività lavorativa e l'inserimento nel mondo professionale, non quando invece manca qualsiasi progettualità o iniziativa in ordine all'inserimento nel mondo del lavoro come nella fattispecie in cui il figlio non dimostri alcun interesse ad intraprendere una qualsiasi carriera.

La sentenza in commento rileva, inoltre, come i fatti storici cui aveva fatto riferimento la Corte di Appello, relativamente alla detenzione di sostanze stupefacenti, non erano stati contestati, sicché – ad avviso della Cassazione – diventava irrilevante la presunzione di innocenza ex art. 27 Cost., in quanto in causa si discuteva solo dell'atteggiamento colpevole del figlio nella ricerca di un lavoro.

In conclusione, la Cassazione dichiara inammissibile il ricorso, condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità e al versamento dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso. 

 

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