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Mancate visite domiciliari e morte del paziente, inadempimento medico non sufficiente ad affermarne responsabilità

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Con la pronuncia n. 21008 dello scorso 23 agosto in tema di responsabilità sanitaria, la terza sezione civile della Cassazione ha ribadito che il sanitario risponde solo qualora risulti accertato, secondo un giudizio probabilistico, la sussistenza del nesso causale e, per l'effetto, ha esentato da qualsiasi responsabilità il medico curante che aveva omesso ripetutamente di visitare il paziente, poi deceduto per aneurisma.

In particolare, il medico rifiutava la visita domiciliare, ritenendo che il quadro sintomatologico fosse quello di un comune mal di testa e prescriveva una terapia a base di aspirina e novalgina.

A seguito del decesso del paziente, accertato il reiterato rifiuto del sanitario di visita domiciliare, il Tribunale penale di Trieste lo condannava per il solo rifiuto di atti d'ufficio, assolvendolo, con formula piena, dal reato di omicidio colposo, contestualmente contestatogli.

Intervenuta l'estinzione del reato per intervenuta prescrizione, la Corte di cassazione penale, rinviava al giudice civile per la valutazione dell'eventuale ricorrenza di responsabilità dell'imputato nei confronti della parte civile.

La causa veniva, quindi, riassunta dinanzi alla corte di appello di Trieste dalla madre del ragazzo. 

 Nel corso del giudizio civile, l'espletata CTU evidenziava che il quadro sintomatologico era facilmente interpretabile per manifestazioni di altra patologia, sicché il medico curante, anche se avesse tempestivamente eseguito la visita domiciliare, sulla scorta del criterio del più probabile che non, non avrebbe indirizzato immediatamente a cure specialistiche il paziente; quand'anche ciò fosse avvenuto, l'esame TC solo nel 60% dei casi avrebbe individuato l'aneurisma e sarebbe stato molto difficoltoso intervenire chirurgicamente per rimuoverlo.

Secondo la perizia di parte, invece, la probabilità di sopravvivenza con l'adozione di misure terapeutiche appropriate era del 70%.

La Corte territoriale – data la mai contestata percentuale del 60% di possibilità di individuazione dell'aneurisma – rilevava che, pur aderendo alla consulenza di parte, il tasso di percentuale di sopravvivenza del ragazzo era complessivamente del 42% (cioè il 70% del residuo 60%), contro il 58% di probabilità di esito infausto.

Sulla scorta del criterio del più probabile che non, riteneva, pertanto, esclusa l'esistenza di un nesso causale tra la condotta del medico di base e il decesso del paziente.

La difesa della madre della vittima, ricorrendo in Cassazione, si doleva della sentenza nella parte in cui – rilevato che non si fosse raggiunta la prova sul nesso causale tra l'evento morte e la condotta omissiva del sanitario – escludeva l'esistenza stessa di un inadempimento da parte del medico; in seconda istanza rilevava l'errore in cui la Corte di merito era incorsa nell'individuazione e nella descrizione dell'evento e del nesso causale.

 La Cassazione non condivide le censure formulate dalla ricorrente, ritenendo che le stesse contrastino con i consolidati principi giurisprudenziali in tema di nesso causale, il cui accertamento è regolato dal criterio del più probabile che non.

In particolare, premesso che in materia di responsabilità sanitaria, la consulenza tecnica si atteggia come consulenza percipiente (ovvero è volta sia alla comprensione dei fatti che al loro accertamento), correttamente il giudice di merito – sostenendo in sentenza che la condotta del medico di base non è stata la causa del decesso - ha dato seguito alle indicazioni contenute nella stessa CTU, che escludeva l'esistenza di un nesso causale ragionando in termini del più probabile che non.

Ciò precisato, la Corte chiarisce che la sentenza impugnata, esclusa la sussistenza del nesso causale, non ha ritenuto insussistente anche l'inadempimento da parte del medico: la sentenza d'appello, piuttosto, ha evidenziato che l'inadempimento del medico non è sufficiente ad affermarne la responsabilità, occorrendo il raggiungimento della prova del nesso causale tra l'evento e la condotta inadempiente.

Più nel dettaglio, la Corte di Appello è partita dalla corretta considerazione che, nella specie, per affermare la responsabilità del medico non bastava denunciare l'omesso espletamento della visita domiciliare - certamente integrante gli estremi dell'inadempimento per inosservanza di doverose regole di condotta - ma era indispensabile provare che se la visita fosse stata espletata e l'aneurisma fosse stato diagnosticato le terapie che ne sarebbero seguite (secondo le conoscenze del tempo) avrebbero avuto un'apprezzabile probabilità di successo.

Gli Ermellini, inoltre, evidenziano il pregio della sentenza impugnata, la quale – correttamente operando il giudizio controfattuale, indispensabile per l'accertamento del nesso causale, tenendo anche conto delle specificità del caso concreto – ha ritenuto che l'inadempimento del sanitario non fosse stato causa del decesso perché, eliminato mentalmente dal novero dei fatti realmente accaduti – sulla base di una successione regolare conforme ad una legge statistica – l'evento si sarebbe nel 58% dei casi comunque verificato.

In conclusione, essendo stata accertata l'insussistenza del nesso causale, imprescindibile per l'affermazione di responsabilità, il ricorso è stato dichiarato inammissibile.

 

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