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Maltrattamenti in famiglia: è sufficiente una convivenza breve, purché stabile

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Con la sentenza n. 45938 dello scorso 13 novembre, la III sezione penale della Corte di Cassazione, ha confermato la condanna per il reato di maltrattamenti in famiglia inflitto ad uno straniero che – trasferitosi in Italia per amore –aveva maltrattato la sua fidanzata, con la quale era incorsa da poche settimane una convivenza.

Si è difatti specificato che la convivenza more uxorio è idonea a configurare il reato di cui all'art. 572 c.p., non essendo necessario che tale forma di convivenza abbia una certa durata, quanto piuttosto che sia stata istituita in una prospettiva di stabilità, quale che sia stato poi in concreto l'esito di tale comune decisione.

Il caso sottoposto all'attenzione della Cassazione prende avvio dall'esercizio dell'azione penale nei confronti di un uomo, accusato dei reati di maltrattamenti in famiglia commesso in danno dell'ex convivente.

In particolare, all'esito delle dichiarazioni rese dalla persona offesa, non contestate dal compagno convivente, era emerso che la convivenza era stata instaurata in una prospettiva di stabilità: la donna, fidanzatasi con l'imputato durante un periodo di vacanza trascorso in Romania, si era adoperata affinché l'uomo si trasferisse in Italia per vivere insieme e solo in un momento successivo, a seguito dell'ennesimo episodio di violenza, decideva di porre fine alla relazione ed alla convivenza, scappando di casa. 

 Per tali fatti, sia il Tribunale di Roma, all'esito del giudizio abbreviato, che la Corte d'appello di Roma, condannavano l'uomo alla pena di due anni di reclusione, oltre alle pene accessorie di legge.

Ricorrendo in Cassazione, la difesa dell'uomo eccepiva vizio di motivazione e erronea applicazione della legge penale per essere stato ritenuto sussistente il reato di cui all'art. 572 c.p. sebbene non si fosse leso il bene giuridico oggetto di protezione penale, in quanto – come emerso dalle stesse dichiarazioni della persona offesa – la convivenza sin da subito si era dimostrata un vero e proprio inferno, sì che non era nato alcun reciproco rapporto di solidarietà e affidamento nella coppia.

La Cassazione non condivide la censura prospettata.

La Corte premette che la ratio della previsione incriminatrice è quella di condannare qualsiasi condotta idonea a ledere l'affidamento e la solidarietà su cui si radica il rapporto familiare: se tale lesione sussiste, il reato è integrato anche laddove la stabile relazione tra imputato maltrattante e persona offesa prescinda dal matrimonio.

 Sotto un punto di vista oggettivo, la convivenza more uxorio è idonea a configurare il reato di cui all'art. 572 c.p., non essendo necessario che tale forma di convivenza abbia una certa durata, quanto piuttosto che sia stata istituita in una prospettiva di stabilità, quale che sia stato poi in concreto l'esito di tale comune decisione.

D'altra parte, la giurisprudenza esclude che la condotta maltrattante debba essere stata posta in essere sin dall'inizio della convivenza, in quanto non è necessario che gli atti vengano posti in essere per un tempo prolungato, essendo, di contro, anche possibile che durante il periodo dei maltrattamenti si manifestino nella condotta dell'agente periodi di normalità e di accordo con il soggetto passivo.

Con specifico riferimento al caso di specie, la Corte evidenzia come la sentenza impugnata, con motivazione logica e coerente, abbia evidenziato e richiamato tutte le dichiarazioni rese dalle parti che indiscutibilmente dimostravano come la convivenza fosse stata instaurata in una prospettiva di stabilità.

In conclusione la Cassazione rigetta il ricorso.

 

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