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Mafia Capitale, parla Pignatone: "Procura non è stata sconfitta, non era una fiction e tireremo avanti"

Dopo la sentenza, parla il procuratore della Repubblica Pignatone che dice: «No, non era una fiction, dal momento che la sentenza ha riconosciuto la sussistenza di gravi fatti di violenza e corruzione in un contesto di criminalità organizzata, e ha inflitto pene altissime».

Ma ha detto che «Mafia Capitale» non è mafia: avete perso.
«Io rifuggo da una visione agonistica dei processi, e comunque non mi sento sconfitto. Attendiamo le motivazioni della decisione, anche perché noi ci siamo mossi nel solco tracciato da precedenti e successive sentenze della Cassazione. Inoltre in questi anni abbiamo dimostrato che a Roma la mafia c´è, a differenza di quanto sostenuto in passato, e non solo per via del riciclaggio, ma anche nella gestione del traffico di droga, dell´usura e altri fenomeni criminali».

Non quella di Buzzi e Carminati, però.
«Io stesso ho più volte sottolineato che era una organizzazione ridotta non in grado di condizionare il governo di Roma Capitale; la costruzione mediatica di quel presunto dominio non ci appartiene. L´abbiamo qualificata come associazione mafiosa e continuo a ritenere che quella costruzione fosse aderente alla realtà; se le motivazioni della sentenza non ci convinceranno del contrario faremo appello».

Il giorno dopo il verdetto che ha declassato il «mondo di mezzo» di Buzzi e Carminati a una banda dedita alla corruzione di politici e amministratori, il procuratore di Roma Giuseppe Pignatone prova a trarre il bilancio di una battaglia persa:

«Non nascondo il dato negativo del mancato riconoscimento dell´associazione mafiosa, ma voglio ricordare i pronunciamenti favorevoli di un gip, del Tribunale del riesame e per due volte della Cassazione sulle nostre richieste, dunque gli imputati non erano detenuti per un insano desiderio della Procura. Inoltre dal punto di vista criminale Roma ha problemi altrettanto e forse più gravi della mafia, che pure esiste, come la corruzione e la criminalità economica. E la sentenza del tribunale ne è l´ulteriore dimostrazione. Il mio ufficio non è disposto ad accettare l´idea, purtroppo molto frequente, che la corruzione a Roma sia un fatto normale se non addirittura utile».

L´accusa di mafia ha provocato conseguenze politiche che hanno portato alle dimissioni dell´ex sindaco Marino. Davvero non avete nulla di cui pentirvi?
«Le valutazioni politiche su quanto è emerso dalle nostre indagini non le abbiamo fatte noi, né io posso essere chiamato a rispondere se qualcuno ha voluto utilizzarle politicamente. Quando mi è stato chiesto un parere sullo scioglimento del Consiglio comunale, l´ho qualificata come una "piccola mafia" che non solo non era in grado di dominare sulla città, come qualcuno s´è spinto a sostenere, ma era stata molto depotenziata, se non smantellata, dai provvedimenti dei giudici».

Non crede che aver insistito fino alla fine sulla mafiosità sia stata una scommessa azzardata?
«Non è stata una scommessa, perché non si scommette con la libertà delle persone. La nostra accusa rappresentava un momento molto avanzato nell´interpretazione del rapporto mafia-corruzione, ma sempre seguendo la indicazioni fornite dalla Cassazione nell´ultimo decennio».

Pensa che rispetto alle zone a tradizionale insediamento mafioso, a Roma non ci siano le condizioni per seguire quelle indicazioni?
«Non credo, anche perché in passato non veniva accettata nemmeno l´idea che in questa città ci fossero le mafie tradizionali in attività, come invece hanno accertato diversi pronunciamenti dei giudici, molto impegnati anche su questo fronte, ed è un significativo passo avanti. Adesso abbiamo un verdetto che nega la mafiosità di questo gruppo che pure è stato considerato responsabile di fatti molto gravi, ma ancora non sappiamo con quali argomentazioni. Come ho già sostenuto, la consapevolezza che non è più il tempo di rifugiarsi dietro la comoda convinzione che in certe aree la mafia non esiste è una condizione essenziale per sconfiggere le mafie».

Non teme che l´esito di questo processo possa appannare l´immagine e la credibilità della Procura di Roma nell´opinione pubblica?
«Io ho il massimo rispetto degli organi d´informazione e dell´opinione che contribuiscono a formare, ma non lavoriamo per ottenere il plauso della collettività. La Procura proseguirà nel suo impegno a fare nel modo migliore possibile ciò che riteniamo giusto fare, il risultato mediatico non ci riguarda. Come non ci esaltiamo per gli Osanna, così non ci fermiamo per le critiche che oggi non sappiamo neanche se e quanto siano fondate».

Sta dicendo che la sentenza non cambia le vostre convinzioni su Mafia Capitale, e la partita non è chiusa?
«Sto dicendo che valuteremo quello che scriveranno i giudici del tribunale, su queste materie non si procede per atti di fede. Questa pronuncia riconosce l´esistenza dei fatti che abbiamo ricostruito ma non la nostra tesi sulla loro qualificazione giuridica. I processi hanno le loro dinamiche, vedremo in questo caso come si evolverà. Ma una sentenza, per quanto importante, non può far cadere nel nulla anni di indagini e provvedimenti di altri giudici».

Il fatto che un imputato come Luca Odevaine, che per voi ha collaborato alle indagini, abbia ricevuto una pena più alta di quella chiesta dai pm, può essere interpretato come il segnale che collaborare non conviene?
«Non lo so. Tra gli strumenti per contrastare la corruzione c´è anche un atteggiamento premiale dei giudici per chi collabora alle indagini, e sul contribuito offerto da Odevaine c´è stata una lettura opposta fra la Procura e il tribunale. Anche in questo caso dovremo leggere le motivazioni, ma di sicuro il contrasto alla corruzione continuerà ad essere al centro dei nostri sforzi».

*pubblicato su Corriere della Sera
il 21 luglio 2017 - 22:33
tit. or. Pignatone: «Non mi sento sconfitto. È crimine organizzato, noi andremo avanti»
di Giovanni Bianconi



 

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