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Luigi Giuliano: togliete i figli ai boss, solo così si può battere la camorra

«Nessuno salverà Forcella e i vicoli di Napoli. Allo Stato non interessa ripulire quella parte di città. Ai miei nipoti, ai miei cugini e a tutti i ragazzi della cosiddetta paranza dei bambini dico che devono salvarsi da soli e che se vogliono veramente un futuro diverso da quello che hanno deciso di vivere, tutto è possibile».

Ha un tribale tatuato sulla tempia e l´immagine della faccia di suo padre sul braccio destro. E poi gli occhi neri, scavati e i tratti inconfondibili dei Giuliano di Forcella, tutti uguali, tutti con la stessa fisionomia e i nomi che si ripetono da tre generazioni di padre in figlio. Quasi come in «Cent´anni di solitudine» con i Buendia.

Per anni quando pronunciava il suo cognome tremavano tutti, «poi ho capito che per essere nel giusto e cambiare strada non avrei dovuto fare il Giuliano, così come mi diceva sempre mio padre». Lui è Luigi Giuliano, 45 anni, figlio di Nunzio, assassinato nel 2005 in via Tasso da due killer in moto, solo per vendetta. Si era dissociato dai fratelli camorristi ben prima della loro clamorosa decisione di pentirsi, e aveva iniziato una personale «crociata» contro la droga, in particolare l´eroina che aveva distrutto la vita di un altro suo figlio che morì di overdose in una casa di Forcella.

«Mio padre - racconta Luigi - aveva incontri con i ragazzi, parlava di libertà e di speranza. Nel suo ultimo incontro con gli studenti del liceo Mercalli disse che bisognava fermare i boss altrimenti i loro figli da grandi avrebbero fatto delle stragi. Aveva ragione: se fosse stato tutelato dallo Stato, se fosse stato ascoltato non solo sarebbe ancora in vita, ma soprattutto si sarebbero evitati tanti omicidi. Annalisa Durante (la ragazzina uccisa in una sparatoria a Forcella nel 2004, ndr) non sarebbe morta e con lei almeno altre cento persone».

Luigi per anni è stato un capo, uno dei rampolli del gruppo camorristico che dopo trent´anni, immune a pentimenti eccellenti, arresti e controlli asfissianti del territorio, ancora detta legge a Forcella e organizza «stese» e agguati contro i Mazzarella, poi contro i Sibillo poi di nuovo contro i Mazzarella in una spirale di odio che tende all´infinito. «Li ho visti negli occhi uno ad uno quei ragazzi, quando entri nel mondo della violenza sin da piccolo anche la faccia ti cambia. Non riesci a sorridere, stai sempre arrabbiato». Poi Luigi, da un giorno all´altro, ha deciso di ripartire da zero, provando gradino dopo gradino a risalire dall´inferno di morte e distruzione nel quale era piombato: «Ma la strada è lunga, la crescita interiore è tortuosa». Parla per citazioni, pensa molto prima di rispondere alle domande e poi si scusa se non sa esprimersi perfettamente in italiano «questo vuol dire non studiare, spero di essermi fatto capire e che il mio sia un messaggio positivo per tutti». Però anche se lui ce l´ha fatta «facendo il facchino tutti i giorni dalle 5 del mattino nel gelo del nord Italia» crede che i giovani della città «abbandonata», quelli del suo quartiere, non hanno molte speranze fino a quando «lo Stato non deciderà di cancellare per sempre il fenomeno dello spaccio di sostanze stupefacenti».

«Fino a quando si continuerà a spacciare droga tra i vicoli - dice - nessuno mai si salverà». Ricorda come se fosse ieri e sa per certo che il sistema non è affatto cambiato negli anni che: «A Forcella spacciano padri e madri. Trasmettono questi valori ai loro figli che non possono far altro che crescere delinquenti, nell´odio e nella paura. Quando ci sono questi presupposti bisogna togliere i figli alle famiglie. Solo così possono salvarsi. I bambini - dice Luigi Giuliano - nascono puri, anche i ragazzini lo sono, poi vengono infettati dalle abitudini sbagliate dei loro genitori. I figli dei camorristi quasi sempre diventano camorristi».
Racconta della fortuna di aver avuto un padre come il suo che lo ha salvato «dalla galera a vita o dalla morte», che sono le due uniche alternative per chi decide di stare dalla parte della camorra. Quando Nunzio Giuliano fu arrestato nel 1984, suo figlio Luigi perse ogni riferimento e nonostante il padre gli dicesse mattina e sera di non andare a Forcella lui non diede ascolto. «Seguii le orme di violenza dei miei zii Luigi, Guglielmo e Raffaele che in quegli anni comandavano Napoli, facevo uso di droga e quando avevo voglia di accoltellare qualcuno, magari perché mi era antipatico, o di sparargli perché non mi salutava, io lo facevo», ricorda. Esattamente come oggi quando gruppi di ragazzini fanno fuoco tra la folla di piazza Sanità o al centro storico. «L´arroganza, la prepotenza, la voglia di fare soldi a tutti i costi fanno imbracciare fucili e pistole. Ma a tutti loro vorrei dire che così facendo non riusciranno mai a vedere la luce». Poi lo Stato, le sue assenze, le colpe, gli alibi. «Non è vero che non si può riuscire a dare un futuro diverso al quartiere. Quello che serve è intervenire con progetti».

Luigi Giuliano jr ritiene impossibile parlare di rinascita se non si ha la forza «di colmare i vuoti di potere che gli arresti generano all´interno dei quartieri. Se catturano tutti i Giuliano quello spazio oggi viene riempito dai Mazzarella e viceversa. Invece le istituzioni devono creare opportunità: scuole, biblioteche, circoli ricreativi, cinema, bar». La mancanza di valori ha come unico effetto «la nascita di un uomo feroce. Chi vuole uscirne e salvarsi deve cercare la sua strada da solo. Basta alibi». Per lo Stato. Per i camorristi.
pubblicato su Corriere del Mezzogiorno 30.5.2017

 

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