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Licenziamento lavoratrice madre: richiesta ulteriore gravità del fatto contestato.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, sez. Lavoro, con sentenza 10 novembre 2016 – 26 gennaio 2017, n. 2004.
I Supremi Giudici hanno chiarito che il giudice di appello non si è conformato, erroneamente, al principio di diritto espresso da Cass. n. 19912/2011, per il quale "il divieto di licenziamento della lavoratrice madre è reso inoperante, ai sensi dell´art. 3 lettera a) del d.lgs. 26 marzo 2001 n. 151, quando ricorra la colpa grave della lavoratrice, che non può ritenersi integrata dalla sussistenza di un giustificato motivo soggettivo, ovvero di una situazione prevista dalla contrattazione collettiva quale giusta causa idonea a legittimare la sanzione espulsiva, essendo invece necessario verificare se sussista quella colpa specificamente prevista dalla suddetta norma e diversa, per l´indicato connotato di gravità, da quella prevista dalla disciplina pattizia per i generici casi d´inadempimento del lavoratore sanzionati con la risoluzione del rapporto. L´accertamento e la valutazione in concreto della prospettata colpa grave si risolve in un giudizio di fatto riservato al giudice di merito, come tale non sindacabile in sede di legittimità se sorretto da motivazione logicamente congrua e giuridicamente immune da vizi".
Antefatto
Il Tribunale di Cassino rigettava l´opposizione proposta da V.S. nei confronti dell´ordinanza dello stesso Tribunale che ne aveva respinto il ricorso per la dichiarazione di nullità o illegittimità dei licenziamento senza preavviso intimatole da Poste Italiane S.p.A., per assenza ingiustificata, non avendo la lavoratrice, la quale aveva ottenuto dai Tribunale di Frosinone di essere riammessa nel posto di lavoro in precedenza occupato, ripreso servizio nel nuovo ufficio (a seguito del trasferimento dello stesso).
Il reclamo della V. avverso detta sentenza del Tribunale di Cassino era respinto dalla Corte di appello di Roma dato che la parte reclamante doveva considerarsi decaduta dalla possibilità di impugnare il trasferimento, avendo provveduto alla relativa impugnazione giudiziale con ricorso depositato oltre il termine di duecentosettanta giorni previsto dall´art. 32 l. n. 183/2010, con la conseguenza che era da ritenersi precluso che la questione della legittimità del medesimo potesse essere valutata incidentalmente nel giudizio relativo al licenziamento. La Corte osservava poi che la condotta posta in essere dalla lavoratrice era riconducibile all´ipotesi di cui all´art. 54, par. VI, lettera I) del CCNL 14 aprile 2011.
La lavoratrice ha allora proposto ricorso per la cassazione della sentenza .

Motivi della decisione
I Giudici Supremi dando continuità ad un precedente e costante orientamento, hanno precisato che l´ambito di indagine rimesso al giudice di merito, al fine di stabilire la sussistenza di una colpa grave, costituente giusta causa per la risoluzione del rapporto di lavoro della lavoratrice madre, deve estendersi ad un´ampia ricostruzione fattuale del caso concreto e alla considerazione della vicenda espulsiva nella pluralità dei suoi diversi componenti.
Tale più esteso, articolato e completo ambito di indagine è conseguenza necessaria del carattere autonomo della fattispecie in esame e della sua peculiarità, in quanto la colpa grave, che giustifica la risoluzione del rapporto, è quella della donna che si trova in una fase di oggettivo rilievo nella sua esistenza, con possibili ripercussioni su piani diversi ed eventualmente concorrenti (personale e psicologico, familiare, organizzativo).
La sentenza della Corte di appello di Roma n. 5066/2015 è stata pertanto cassata, in relazione ai motivi accolti, e la causa rinviata, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte di appello di Roma in diversa composizione.
Sentenza allegata





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