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Licenziamento illegittimo se fondato sulle critiche inviate tramite e-mail al datore di lavoro

I giudici della Sezione Lavoro della Corte di Cassazione con ordinanza n. 11645 del 14 maggio 2018 hanno stabilito che è illegittimo il licenziamento del lavoratore che si limita al diritto di critica nei confronti del proprio datore di lavoro.

I Fatti
La Corte di Appello di Roma aveva confermato la decisone emessa dal giudice di primo grado, con la quale era stato accolto il ricorso di una lavoratrice che chiedeva venisse dichiarata l´illegittimità del proprio licenziamento operato dal datore di lavoro. La Corte di Appello aveva motivato la decisione con la quale era stato dichiarato illegittimo il licenziamento, sostenendo che la lavoratrice si era limitata, ad inviare ai propri superiori, dei messaggi tramite posta elettronica, contenenti frasi non offensive e che non avevano pertanto denigrato la società datrice di lavoro.
La Corte territoriale aveva adottato una decisione corretta e in adesione ai principi espressi dalla giurisprudenza di legittimità in tema di esercizio del diritto di critica (Cass. 22/10/1998 n. 10511). Infine la Corte faceva evidenziare che la società datrice di lavoro non aveva dedotto, quale conseguenza dell´invio dei messaggi di posta elettronica, la specifica esistenza di un pregiudizio al decoro o all´immagine dell´azienda; tanto meno aveva allegato in maniera puntuale la natura e l´entità del preteso inadempimento di controparte.

Avverso la sentenza della Corte di Appello veniva proposta impugnazione avanti la Corte di Cassazione da parte del datore di lavoro.



Ragioni della decisione
Con l´unico motivo di ricorso la ricorrente Xxxxxxx s.p.a. deduceva la violazione dell´art. 112 cod. proc. civ. e , ai sensi dell´art. 360 comma 1 n. 5 cod. proc. civ., e l´omessa pronunzia su un punto decisivo della controversia, la violazione dell´art. 1363, comma 2 , cod. civ. della lettera di contestazione del 19 ottobre 2009, nonché violazione dell´art. 48 c.c.n.l. del 3.12.2005.
La ricorrente, con il proposto ricorso, censurava la motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui il giudice di merito dichiarava che in appello la società si fosse limitata a motivare l´assoluta illegittimità del licenziamento facendo riferimento solo al contenuto dei predetti messaggi senza insistere sulla sussistenza della recidiva e sulla mancata presentazione della lavoratrice ad una convocazione da parte di un dirigente .
Il motivo con il quale si denunzia violazione dell´art. 112 cod. proc. civ., secondo i giudici della Sezione Lavoro va ritenuto inammissibile in quanto non sorretto dalla completa esposizione del fatto processuale. Ricordano i giudici di legittimità che affinchè si possa dedurre in sede di legittimità un vizio di omessa pronunzia,ai sensi dell´art. 112 cod. proc. civ., è necessario, verificarne, "in primis", la ritualità e la tempestività ed, in secondo luogo, la decisività delle questioni prospettatevi. E´ pertanto necessario che il ricorrente si attenga al rispetto "del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione che non consente, tra l´altro, il rinvio "per relationem" agli atti della fase di merito - dell´onere di indicarli compiutamente, non essendo legittimato il suddetto giudice a procedere ad una loro autonoma ricerca, ma solo ad una verifica degli stessi ( Cass. 08/06/ 2016 n. 11738; Cass. 04/07/2014 n. 15367) ".
Alla luce dei principi sopra richiamati avendo accertato i giudici della Sezione Lavoro che nel caso in esame la parte ricorrente non aveva articolatola censura con modalità coerenti con quanto stabilito dalle varie pronunce della Corte, limitandosi alla riproduzione di alcune frasi e avendo altresì constatata l´infondatezza delle altre censure avanzate col ricorso, hanno ritenuto di rigettare il ricorso.
Si allega sentenza






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