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Licenziamento discriminatorio di dirigente sindacale, Cassazione: quando scatta la reintegra

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con sentenza, sezione lavoro, n. 19695 del 2016 depositata in data 3 ottobre.
Nel caso in esame la Corte si è trovata a dirimere una controversia molto delicata dato l´intento discriminatorio ravvisabile nel licenziamento irrogato nel caso di specie al dirigente sindacale.
Già i Giudici di prime cure nonché la Corte di Appello adita si erano pronunciati accogliendo le doglianze del lavoratore.
In particolare la Corte di appello di Trieste aveva respinto l´appello principale proposto dalla Unione Generale del Lavoro (UGL) nonché l´appello incidentale proposto da F.U. confermando le due sentenze rese dal Tribunale di Trieste che aveva riconosciuto la sussistenza, tra le parti di un rapporto di lavoro subordinato, l´inquadramento del dirigente nel I livello di cui al CCNL aziende del Terziario, Distribuzione e Servizi, con conseguente condanna al pagamento di differenze retributive, ritenendo il licenziamento nullo con conseguente ordine di reintegrazione nel posto di lavoro.
Avverso la sentenza, l´associazione UGL aveva proposto ricorso per Cassazione, ed il lavoratore resistito con controricorso e proposto ricorso incidentale.
In particolare, i Giudici Supremi si sono trovati a pronunciarsi in ordine alla compatibilità dei due ruoli assunti dal dirigente nell´ambito dell´associazione sindacale ed hanno applicato il principio di diritto già da loro più volte affermato secondo cui l´assunzione di una carica elettiva nell´ambito di un´associazione sindacale è compatibile con la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra l´associazione medesima e l´eletto (anche se tale carica comporti funzioni dirigenziali e rappresentative) per lo svolgimento di specifiche mansioni affidate al soggetto stesso.
Tale indagine in ordine alla effettiva sussistenza o meno del suddetto rapporto di lavoro va compiuta, tenendo conto del concreto atteggiarsi del rapporto e della eventualità che esso, nel corso del tempo, possa modificare la sua natura da autonomo a subordinato o viceversa .
In ordine alla censura relativa all´applicazione della tutela reintegratoria nei confronti di un´organizzazione di tendenza quale un´associazione sindacale il Supremo Collegio si è riferito all´art. 4 della legge n. 108 del 1990, riconoscendo alle cosiddette organizzazioni di tendenza l´inapplicabilità dell´art. 18 dello statuto dei lavoratori, facendo salva l´ipotesi regolata dall´art. 3 sull´estensione della tutela reale ai licenziamenti nulli in quanto discriminatori; da ciò ne consegue che, ove il licenziamento sia stato determinato da motivo di ritorsione o rappresaglia, va ordinata, anche nei confronti di dette associazioni, la reintegra del lavoratore, restando privo di rilievo il livello occupazionale dell´ente e la categoria di appartenenza del dipendente (Cfr., proprio con riferimento al licenziamento di un dirigente sindacale, Cass. n 20500/2008).
La Corte ha espressamente affermato che il privilegio riconosciuto dalla norma nei confronti delle c.d. organizzazioni di tendenza consiste nel conservare la tutela meramente obbligatoria e ciò anche quando il superamento del livello occupazionale stabilito dall´art. 2 della legge n. 108 del 1990 comporterebbe l´applicazione della tutela reale a norma dell´art. 1, della stessa legge. Ma detta norma, che serve a regolare gli effetti di un normale licenziamento legittimo, ha osservato la Cassazione, nulla dice sul diverso problema del licenziamento discriminatorio, in ordine al quale l´art. 4 in ogni caso non trova applicazione. In effetti la L. n. 108, art. 4, inizia con le parole "fermo restando quanto previsto dall´art. 3", per proseguire con la indicazione che la L. n. 300 del 1970, art. 18, non si applica alle richiamate organizzazioni di tendenza: orbene, hanno affermato i giudici, se vuol darsi un senso all´incipit dell´art. 4 è evidente che la deroga prevista dall´art. 4 non riguarda i casi di quei licenziamenti considerati dal legislatore dal 1966 in poi particolarmente odiosi e per i quali la conseguenza è l´integrale applicazione dell´art. 18.
La Corte territoriale ha accertato, ha proseguito la Sezione, che il licenziamento del dirigente in questione è stato determinato da un motivo discriminatorio rilevando tale natura dagli elementi probatori acquisiti, in particolare dai documenti acquisiti "nella loro scansione temporale", dalla confessione stragiudiziale del segretario provinciale S. (che ha riferito di aver proceduto al licenziamento del F. dietro indicazione proveniente dalla sede di (omissis) del sindacato), dalle contraddizioni contenute nelle difese dell´associazione sindacale (che ha negato l´affidamento di incarichi sindacali al F. e, dall´altra, ha riconosciuto allo stesso il ruolo di dirigente sindacale).
In ordine poi alla sussistenza dei requisiti per il riconoscimento della pensione di anzianità (ai fini della libera recedibilità dell´associazione dal rapporto di lavoro) nonché, con riguardo al ricorso incidentale, al rigetto della domanda di risarcimento del danno per omessa contribuzione, i Supremi Giudici hanno rilevato che delle questioni non vi era traccia nella sentenza impugnata, nè il ricorrente indicava in alcun modo se, con quale atto e in che termini la questione stessa fosse stata eventualmente riproposta in grado di appello.
In tema la Suprema Corte ha ripetutamente affermato che "nel giudizio di cassazione è preclusa alle parti la prospettazione di nuove questioni di diritto o nuovi temi di contestazione che postulino indagini ed accertamenti di fatto non compiuti dal giudice di merito, a meno che tali questioni o temi non abbiano formato oggetto di gravame o di tempestiva e rituale contestazione nel giudizio di appello" .
In conclusione, per quanto detto e per quanto meglio espresso in Sentenza, il ricorso principale ed il ricorso incidentale sono stati rigettati.
Sentenza allegata



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