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Licenziabile il dirigente che complotta per sovvertire la governance della società.

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La massima

In tema di licenziamento disciplinare del dirigente, ciò che viene in rilievo è la giustificatezza, che non si identifica con la giusta causa. Ne deriva che, a differenza di quanto avviene relativamente ai rapporti con la generalità dei lavoratori, il licenziamento del dirigente non deve necessariamente costituire una extrema ratio, da attuarsi solo in presenza di situazioni così gravi da non consentire la prosecuzione, neppure temporanea, del rapporto e allorquando ogni altra misura si rivelerebbe inefficace, ma può conseguire ad ogni infrazione che incrini l'affidabilità e la fiducia che il datore di lavoro deve riporre sul dirigente. Non si pone, pertanto, un problema di proporzionalità della sanzione, ma di accertamento di comportamenti che hanno determinato la perdita della fiducia.

Nel caso di specie, la condotta del dirigente – consistita nella sua partecipazione attiva (attraverso la messa a disposizione delle informazioni in suo possesso quale Direttore del Controllo di Gestione e di Chief Financial Officer) al tentativo ordito dall'amministratore e dai Vicepresidenti, teso a sovvertire la governance della società - correttamente è stata ritenuta lesiva della fiducia in lui riposta.

Corte di Cassazione, sez. lav., sentenza del 18 luglio 2023, n. 20882. 


Com'è noto, la legislazione che limita il potere di licenziamento del datore di lavoro, non si estende ai dirigenti d'azienda, relativamente ai quali la Legge n. 108 del 1990 prevede solo che il recesso debba essere intimato per iscritto.

Ciò nonostante, le figure apicali non restano prive di tutela, non solo perché la lacuna legislativa è, di regola, colmata dalla contrattazione collettiva, mediante l'introduzione di clausole che impongono al datore di lavoro l'obbligo di giustificare il licenziamento del dirigente, ma  anche perché non vi è alcun dubbio che, al pari di ogni altro lavoratore, anche ai  dirigenti si applichi l'art. 7, L. 20.5.1970, n. 300, pertanto, nel caso di un recesso per giusta causa, anche nei confronti di costoro troverà applicazione la medesima procedura prevista per i licenziamenti disciplinari.

La peculiarità della disciplina inerente il licenziamento dei dirigenti è stata oggetto di diverse pronunce da parte della Corte di Cassazione, la quale – tenuto conto anche di quanto previsto dai principali contratti collettivi – ha cercato di inquadrare la fattispecie e di dirimere le questioni più controverse.

Uno dei problemi principali affrontati, ha riguardato i limiti che dividono la giusta causa dalla giustificatezza del licenziamento. 

Secondo i giudici di legittimità, i fini della giustificatezza del licenziamento del dirigente, può rilevare qualsiasi motivo, purché esso possa costituire la base per una motivazione coerente e sorretta da motivi apprezzabili sul piano del diritto, a fronte del quale non è necessaria un'analitica verifica di specifiche condizioni, ma è sufficiente una valutazione globale che escluda l'arbitrarietà del licenziamento, in quanto riferito a circostanze idonee a turbare il legame di fiducia con il datore, nel cui ambito rientra l'ampiezza dei poteri attribuiti al dirigente.

La cassazione, con la sentenza n. 20882 del 18 luglio scorso, è tornata sul tema del licenziamento disciplinare del dirigente, affermando che la giustificatezza del licenziamento, tipica della categoria dirigenziale, ben può fondarsi, per la particolare natura del rapporto di fiducia, su ragioni oggettive non necessariamente coincidenti con l'impossibilità di continuazione del rapporto, ma semplicemente idonee a turbare il rapporto fiduciario con il datore di lavoro, nel cui ambito rientra l'ampiezza dei poteri attribuiti al dirigente, purchè apprezzabili sul piano del diritto, senza necessità di un'analitica verifica di specifiche condizioni, per la sufficienza di una valutazione globale, che escluda l'arbitrarietà del recesso.

 Il caso.

La vicenda ha avuto come protagonista un dirigente con mansioni di direttore del controllo di gestione che era stato destinatario di un provvedimento disciplinare espulsivo per aver partecipato, insieme all'amministratore delegato e a due vice presidenti, ad un disegno occulto, teso a rimuovere dalla carica il Presidente della società per la quale lavorava.

Il dirigente aveva impugnato il licenziamento, ma il ricorso era stato respinto sia in primo che in secondo grado, poiché entrambi i giudici di merito avevano ritenuto che la condotta del dirigente integrasse una palese violazione dei principi di buona fede e correttezza nell'esecuzione del contratto di lavoro.

Il lavoratore adiva, perciò, la Cassazione, sulla base di quattro motivi, tra cui la violazione o falsa applicazione dell'art. 2119 cc, per avere erroneamente, la Corte territoriale, ritenuto la sussistenza di una giusta causa di licenziamento.

La decisione della Cassazione.

I giudici di legittimità, nell'enunciare il principio su riferito, hanno precisato che, essendo il ricorrente un dirigente della società, il suo rapporto di lavoro era caratterizzato dall'elemento fiduciario che lo legava in maniera più profonda al datore di lavoro; dunque, anche una sua semplice inadeguatezza rispetto ad aspettative riconoscibili ex ante o una sua deviazione dalla linea segnata dalle direttive generali del datore di lavoro o, ancora, un comportamento extralavorativo incidente sull'immagine aziendale a causa della posizione rivestita, potevano, a seconda delle circostanze, costituire ragione di rottura di tale rapporto fiduciario e, quindi, giustificare il licenziamento sul piano della disciplina contrattuale dello stesso.

In quanto dirigente, il ricorrente avrebbe, dunque, dovuto restare estraneo ad ogni dinamica degli amministratori, lecita o illecita, diretta al sovvertimento della governance della società, essendo legata a questa, appunto, da un pregnante rapporto fiduciario con chi rappresentava la "proprietà" che lo aveva nominato e che costituiva il suo datore di lavoro.

 

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