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Sindacato di legittimità sulla motivazione post riforma, Cassazione enuncia criteri

La riformulazione dell´art. 360, primo comma, n. 5, cpc, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall´art. 12 delle preleggi, come riduzione al "minimo costituzionale" del sindacato di legittimità sulla motivazione.
Lo ha affermato la Suprema Corte di Cassazione, sezione Lavoro, con Sentenza n. 19932 del 2016 depositata in data 5 ottobre 2016.
La questione
Nel caso culminato nella pronuncia in commento, la Corte d ´Appello aveva rigettato l´impugnazione proposta dalla Azienda Trasporti Milanesi - ATM, nei confronti di un lavoratore licenziato, che era stato reintegrato con sentenza resa tra le parti dal Tribunale di Milano.
II giudice di prime cure aveva accolto il ricorso proposto dal lavoratore, assunto dalla ATM il 31 dicembre 1990, con mansioni da ultimo, per ritenuta inidoneità, di ausiliario inquadrato nella IV area professionale, al quale dopo aver ricevuto una lettera di contestazione, era stata comunicata la sanzione della destituzione dal servizio.
Il Tribunale aveva dichiarato illegittimo il provvedimento di destituzione, condannando la società a reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro con relativo riconoscimento di risarcimento pari a 12 mensilità.
Per la cassazione della sentenza resa in grado di appello aveva proposto ricorso la Società.
La decisione
Il ricorso è stato rigettato dai Giudici Supremi.
Il Supremo Collegio, in ordine alle prospettate doglianze in tema di carente e contraddittoria motivazione, ha affermato, richiamandosi ad un precedente delle Sezioni Unite, che la riformulazione dell´art. 360, primo comma, n. 5, cpc, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall´art. 12 delle preleggi, come riduzione al "minimo costituzionale" del sindacato di legittimità sulla motivazione.
Pertanto, ha affermato la Sezione, può essere denunciata in Cassazione solo l´anomalia motivazionale, che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all´esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali.
Tale anomalia, ha aggiunto, si esaurisce nella "mancanza assoluta di motivi sotto l´aspetto materiale e grafico", nella "motivazione apparente", nel "contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili" e nella "motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di "sufficienza" della motivazione.
La sentenza impugnata è stata dunque ritenuta dai Supremi Giudici ampiamente motivata, facendo specifico riferimento a tutte le prove testimoniali assunte e agli atti del giudizio.
La Corte d´Appello, con congrua e logica motivazione, aveva infatti affermato che non era stata provata la sussistenza dello stato di ubriachezza (rilevando, altresì che la relativa problematica, sussistente per il passato, sembrava superata) e, d´altro canto, la prospettazione difensiva, fondata sulle dichiarazioni rese nel corso del procedimento disciplinare da due testimoni, riportate in ricorso, non avevano censurato adeguatamente tale statuizione, atteso che gli stessi avevano premesso di non saper valutare se una persona fosse o meno in stato di ebbrezza.
Né è apparso rilevante ai Supremi Giudici il richiamo alla mancata produzione di documentazione medica relativa al lavoratore per l´anno 2006, atteso che come sì è detto la Corte d´Appello aveva già vagliato la circostanza che lo stato di ebbrezza in passato aveva rappresentato un problema.
La Corte d´Appello, inoltre, ha preso in esame il tempo dell´allontanamento, ritenendo che lo stesso era intervenuto per un periodo limitato, circostanza non contraddetta dalle suddette dichiarazioni di testimoniali, ed ha escluso che le funzioni di custodia potessero essere assimilate a quelle di sicurezza.
Del tutto generico è stato poi ritenuto il richiamo ad un precedente procedimento disciplinare che avrebbe subito il lavoratore, avendo la Corte ribadito il consolidato orientamento giurisprudenziale, secondo cui, in virtù della forza espansiva di cui sono dotate, le disposizioni contenute nell´art. 18 legge n. 300 dei 1970 si applicano a tutte le ipotesi di invalidità del recesso del datore di lavoro, qualora non assoggettate ad una diversa e specifica disciplina e, quindi, anche al licenziamento degli autoferrotranvierì, non essendo a ciò di ostacolo la speciale disciplina della destituzione, di cui all´art. 45 dei r.d. n. 148/31.
II ricorso è stato quindi rigettato, essendo apparso del tutto illegittimo il licenziamento irrogato.
Sentenza allegata







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