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Lettera di un avvocato: "Io, 50 anni, costretto dalla mia Cassa a privarmi anche del minimo..."

Un articolo pubblicato oggi su un portale giuridico ha reso noti gli ultimi dati sugli avvocati in Italia: circa 320 mila, rispetto ai circa 60.000 della Francia, con punte in Campania, Lazio, Sicilia e Lombardia, regioni che contano circa 170000 avvocati. Una popolazione immensa, oltre 6 volte superiore a quella carceraria, che corrisponde ad un avvocato per circa 200 persone. Persone, non clienti, in quanto il rapporto comprende i bambini ed altre categorie. La statistica, inoltre non tiene conto di decine di migliaia di cancellazioni dagli Alpi, portato di una situazione ormai insostenibile e usata, in buona parte, dalla improvvida inerzia del legislatore.
Una situazione che sembra ormai irreversibile, che fa di una delle più antiche e prestigiose professioni del mondo un lavoro precario e che, addirittura, costringe all´abbandono anche avvocati con 20 e più anni di esperienza, come dimostra il racconto amaro di una lettera, quella che pubblichiamo, che spinge sul banco degli imputati anche Cassa forense.

Buongiorno,
sono un avvocato, ho più di cinquant´anni ed esercito da una ventina d´anni questa onorata e amata professione. Con grande sacrificio dei miei genitori, operaio mio padre e casalinga mia madre, ho studiato con profitto giurisprudenza e ho fatto mille lavori stagionali per arrivare al titolo; grandi sacrifici che poi sono stati premiati quando passai l´esame di procuratore, perché all´epoca c´era ancora la figura del procuratore.

Nei primi tempi ho lavorato presso un grande studio, poi, seguendo la vocazione di ogni libero professionista, ho deciso di mettermi in proprio, perché del resto scegliamo di fare gli avvocati perché vogliamo essere liberi e indipendenti, e non dei "paradipendenti" stipendiati!!!

Non posso negare che in quei primi anni di professione ho lavorato bene, anche se non mi sono certo arricchito. Ho sempre esercitato con onestà e diligenza, rispettando al massimo le regole deontologiche e il vecchio regio decreto, non ho mai approfittato del cliente (anzi!!!), ho sempre rispettato il tariffario e mi sono sempre aggiornato, benché non vi fosse l´obbligo giuridico di collezionare crediti formativi. Non ho mai fatto politica, né mi sono mai tesserato a partiti politici per ottenere incarichi o sperare di ottenerne. Non mi sono mai candidato benché spesso qualcuno me lo abbia pure chiesto.

Nonostante non fatturassi milioni di lire (perché negli anni ´90 c´era ancora la lira), già allora potevo ritenermi professionalmente soddisfatto: lavoravo dignitosamente, mi sono potuto sposare e avere dei figli; grazie a mia moglie, che ha un modestissimo impiego a tempo indeterminato, abbiamo persino potuto contrarre un mutuo, che stiamo tutt´ora pagando. Ero libero e realizzato...

Ma la cosa più importante, potevo sperare in una pensione: mi iscrissi alla cassa, e con grande sacrificio pagavo regolarmente; poi quando i contributi hanno iniziato a essere eccessivi e sproporzionati rispetto al mio reddito che intanto calava causa la congiuntura economica e la penalizzazione di vivere in un´area economicamente depressa, ho dovuto cancellarmi, perché non ce la facevo ad assolvere, iscrivendomi all´INPS.

In questi ultimi anni, il mio lavoro ha subito un ulteriore grave calo. Nonostante ciò, ho continuato e continuo imperterrito a lavorare come ho sempre fatto: poche pratiche, è vero, ma curate con la massima diligenza; pochi incassi, è vero, perché se non è lo Stato che paga in forte ritardo i (miei pochi) gratuiti patrocini, è il cliente che non paga affatto. Malgrado ciò, continuo a pagare il mutuo, il contributo all´ordine, l´assicurazione professionale, l´assicurazione RCA, l´iva, l´irpef e ogni altro obolo che lo Stato mi impone, oltre gli studi dei miei figli all´università e le mie naturali esigenze di vita, perché noi avvocati siamo esseri umani e non robot; quel che mi resta dopo tutto questo? Solo la soddisfazione di fare il lavoro che amo, perché la mia famiglia le ferie a Cortina o a Cervinia, o il viaggio semestrale in qualche esotica località turistica, non lo fa né l´ha mai fatto, e credo mai lo farà.

Ora la cassa mi ha comunicato con PEC l´iscrizione obbligatoria e mi impone di pagare una cifra abnorme, che consuma completamente o quasi il mio modesto reddito annuo. Ho letto l´articolo del Corriere sulle dichiarazioni del presidente di Cassa Forense, e mi sono sentito colpito: io esercito da più di venti anni e il mio reddito negli ultimi anni non è andato oltre una certa cifra... Che fare? Cancellarmi dall´albo? E per fare cosa? Ho più di cinquant´anni. Mi devo cercare un altro lavoro? E quale? Ho sempre fatto l´avvocato, ho sempre difeso i diritti altrui, e vedere che una parte della categoria a cui appartengo, tenta di affossare l´altra, mi dà un immenso disagio. E che dire a mia moglie? Cara, devo cancellarmi perché qualcuno ha deciso che per fare l´avvocato te lo devi economicamente permettere?

E ai miei figli?
Non sono disperato, per carità!!! Sono semplicemente amareggiato e disgustato. Guardo il mio piccolo studio, modesto ma assai dignitoso, le mie pratiche impilate e messe belle in ordine, curando la massima riservatezza per ogni cliente. Guardo la mia laurea appesa alla parete, affianco a una riproduzione di un quadro famoso, acquistato in un mercatino quasi trent´anni fa e penso se ne sia valsa davvero la pena sacrificare così tanto... Avrei potuto fare tanti mestieri, ma soprattutto avrei potuto fare l´impiegato pubblico o il vigile urbano, perché in Italia, a quanto pare, la massima aspirazione per i giovani è fare il dipendente pubblico (e il motivo è comprensibile), ma non l´ho fatto. Contrariamente alle esortazioni di mio padre e mia madre, che mi volevano impiegato comunale, ho scelto io la mia strada e la mia realizzazione professionale, perché qualcuno ci ha insegnato che siamo noi stessi gli artefici del nostro destino e gli autori della nostra realizzazione umana e professionale.

Perché, dunque, ora una norma vuole negarmi questa possibilità di scelta? Con quale diritto distrugge il mio sogno professionale e mi impone una cancellazione basata sul dato reddituale e contributivo? Io potrei essere felice e realizzato anche con poche pratiche, con un reddito minimo, e senza avere il BMW o l´ultimo modello dello smartphone della Apple... Potrei essere realizzato anche senza la segretaria in studio o uno studio legale che prenda l´intero piano di un palazzo da portare a vanto nelle chiacchiere fra colleghi. E del resto, quando non uso i mezzi pubblici, viaggio con un´utilitaria e ho un telefonino vecchio modello che però assolve egregiamente al suo scopo. Mi faccio la cancelleria da me e non ho mai avuto un praticante perché sono sempre stato dell´idea che il praticante debba essere pagato.

Vorrei continuare così... Ma vorrei avere anche una pensione. Ecco, perché non sono contrario a pagare i contributi alla cassa (tanto un istituto previdenziale vale l´altro!!!), ma vorrei che fossero realmente equi e proporzionati alla mia capacità contributiva, e non imposti indipendentemente da essa, costringendomi così, a cinquanta e passa anni, a scegliere se pagare e privarmi anche del minimo per vivere dignitosamente o cancellarmi e ingrossare le file dei disoccupati che popolano i bar e le piazzette della cittadina in cui vivo...
Con ossequi
Fonte: Siamoavvocati.it

 

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