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Le scuole paritarie sono esenti da Imu?

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Riferimenti normativi: Art.4, c.3, D.M.n.200/2012 (Regolamento I.M.U. per enti non commerciali).

Focus: L'esenzione Imu è fruibile da parte dei soggetti che utilizzano immobili con modalità non commerciali. Le scuole paritarie rientrano tra le attività prive di scopo di lucro esenti da Imu?

Principi generali:La giurisprudenza della Corte di Cassazione si è pronunciata sull'esenzione Imu degli immobili adibiti ad attività scolastica con l'Ordinanza n.14317/2021 e recentemente con l'Ordinanza n.35123/5 del 29/11/2022. Secondo la giurisprudenza le condizioni necessarie per beneficiare dell'esenzione Imu sono l'utilizzo degli immobili da parte di enti non commerciali (requisito soggettivo), la destinazione degli stessi esclusivamente per lo svolgimento delle attività (assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative, sportive e di religione o culto) tassativamente indicate dall'art.4, c.3, del D.M.n.200/2012 (Regolamento I.M.U. per enti non commerciali), e lo svolgimento di tali attività a titolo gratuito ovvero dietro versamento di corrispettivi di importo simbolico e tali da coprire solamente una frazione del costo effettivo del servizio. In particolare, l'attività didattica svolta negli immobili destinati a scuola paritaria (scuola materna, elementare e media) si ritiene svolta con modalità non commerciali e, quindi, non è assoggettabile a imposizione quando il corrispettivo medio percepito dalla scuola paritaria, equivalente alla media degli importi annui che vengono corrisposti alle scuole dalle famiglie, è inferiore o uguale al costo medio per studente, secondo la tabella ministeriale per l'anno di riferimento. 

Nel caso di specie, oggetto della decisione della Corte di Cassazione con Ordinanza n. 35123/5 del 29/11/2022, l'Istituto educativo, titolare di una scuola paritaria, ha impugnato gli avvisi di accertamento relativi all'ICI per gli anni 2010 e 2011 e dell'IMU per gli anni 2012-2015, invocando l'esenzione prevista dal D.Lgs.n.504/1992, art. 7 lett. i). Il ricorso è stato parzialmente accolto in primo grado escludendo le sanzioni. Hanno proposto appello tanto l'Istituto che il Comune ed entrambi gli appelli sono stati rigettati dalla Commissione tributaria regionale la quale ha osservato che mancava il requisito (oggettivo) per l'applicazione della chiesta esenzione, posto che è necessario a tal fine che le rette scolastiche siano di importo simbolico oppure idonee a coprire solo una frazione del costo effettivo del servizio scolastico; nel caso di specie, invece, la retta applicata agli studenti mediamente superava il 50% del costo del servizio, e quindi può dirsi che si trattava di attività commerciale non esente da imposta comunale. Il giudice d'appello ha inoltre confermato la statuizione del giudice di primo grado circa l'esclusione delle sanzioni, ritenendo sussistenti obiettive condizioni di incertezza tanto da parte del legislatore che da parte della giurisprudenza. Avverso la sentenza entrambe le parti hanno proposto ricorso in Cassazione. L'Istituto educativo ha dedotto che la Commissione Tributaria Regionale ha errato nel ritenere la natura commerciale dell'attività svolta dallo stesso pur sussistendo i requisiti soggettivi e oggettivi della esenzione, ciò in quanto gli immobili per i quali si pretendeva l'imposta presentano il requisito oggettivo perché sono esclusivamente utilizzati per l'esercizio dell'attività didattica svolta in regime di convenzione con l'ente pubblico, e i corrispettivi erano tali da non coprire neppure i costi sostenuti dall'Istituto per lo svolgimento delle attività poichè i contributi ricevuti dalle famiglie degli alunni erano largamente inferiori ai costi di produzione. Inoltre, è stata dedotta la violazione e falsa applicazione del D.M. 19 novembre 2012 n. 200, art. 4, comma 3, lett. c), da parte del giudice d'appello che ha disconosciuto l'esenzione Imu valorizzando la circostanza che le rette applicate agli studenti mediamente superano il 50% del costo del servizio. La Suprema Corte ha ritenuto infondati i motivi addotti dal ricorrente ed ha negato l'esenzione invocata ritenendo insussistente il requisito oggettivo pur in presenza, nel caso di specie, del requisito soggettivo. Infatti, l'esenzione di cui al D.Lgs.n.504/1992, art. 7, comma 1, lett. i), in relazione ai soggetti di cui al D.P.R.n.917/1986, art. 87, comma 1, lett. c), (TUIR), presuppone la ricorrenza cumulativa sia del requisito soggettivo della natura non commerciale dell'ente sia del requisito oggettivo della diretta destinazione dell'immobile allo svolgimento delle attività previste dal medesimo art. 7, tra cui rientrano quelle volte alla didattica e all'educazione.

La circostanza che la parte possa avere dichiarato un CM (corrispettivo medio) inferiore al CMS (costo medio per studente sopportato dallo Stato) non dà automaticamente diritto alla esenzione perchè non incide sul potere del Comune di eseguire un controllo e una valutazione, nè sul potere del giudice di merito di operare un accertamento - che costituisce giudizio di fatto e quindi sottratto al controllo di legittimità - sulla effettiva sussistenza delle modalità non commerciali. Lo stesso l'allegato al DM 26.6.2014 laddove precisa che spetta al Comune, in sede di verifica delle dichiarazioni e dei versamenti effettuati dagli enti non commerciali, valutare la simbolicità dei corrispettivi praticati da ciascun ente commerciale non potendosi effettuare in astratto una definizione di corrispettivo. Pertanto, secondo la Cassazione la parte cade in errore quando afferma che "nel DM in questione è stato previsto che l'esenzione spetti ogni qualvolta i corrispettivi versati per il servizio da parte degli utenti siano pari o inferiori alla spesa annua per studente come individuato dal MIUR" poichè nessun automatismo - se non quello di escludere la applicabilità della esenzione- è legato al rapporto tra corrispettivo e costo medio. Anche se le istruzioni allegate al decreto del 2014 tendono a semplificare la questione, laddove si ribadisce il criterio del corrispettivo simbolico, viene affermata la natura non vincolante delle predette istruzioni per la compilazione delle dichiarazioni IMU, posto che esse non possono derogare nè alla normativa primaria nè alla stessa normativa secondaria alla quale accedono. Da parte sua, il Comune, con ricorso incidentale, ha dedotto che la sentenza della Commissioni Tributaria Regionale è illegittima laddove ha confermato la non debenza delle sanzioni e nel ritenere che vi siano delle incertezze normative. Al riguardo, la Corte di Cassazione ha già precisato che, in tema di sanzioni amministrative per violazioni di norme tributarie, sussiste incertezza normativa oggettiva quando è ravvisabile una condizione di inevitabile incertezza su contenuto, oggetto e destinatari della norma tributaria, riferita, non ad un generico contribuente, nè a quei contribuenti che, per loro perizia professionale, siano capaci di interpretazione normativa qualificata e neppure all'Ufficio finanziario, ma al giudice, unico soggetto dell'ordinamento a cui è attribuito il potere-dovere di accertare la ragionevolezza di una determinata interpretazione (Cass. n. 3108 del 01/02/2019; Cass. n. 32082 del 09/12/2019). Nella fattispecie il giudice d'appello ha confermato la decisione del giudice di primo grado genericamente parlando di approssimazione legislativa e di una rassegna giurisprudenziale versata in atti - di cui non esamina il contenuto – senza tener conto che all'epoca in cui sono stati emessi gli avvisi di accertamento (settembre /ottobre 2016) vi erano due norme (rispettivamente applicabili all'ICI ed all'IMU) sulla cui compatibilità con il diritto Eurounitario era già intervenuta una decisione della Commissione che orienta la giurisprudenza ad essa successiva, la legislazione secondaria, ed anche l'attività impositiva degli enti locali. Di conseguenza, hanno accolto il ricorso incidentale del Comune, riconoscendo il diritto all'applicazione delle sanzioni. 

 

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