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Lavoro autonomo: le ricadute della Sent. Corte Cost. n. 173/2018

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La Corte di Appello di Trieste, con ordinanza del 13.07.2017, ha sottoposto alla Corte Costituzionale un problema piuttosto interessante vale a dire la mancata previsione legislativa, nel caso di esercizio da parte del lavoratore autonomo, successivamente al momento in cui egli abbia già conseguito la prescritta anzianità contributiva, che la pensione liquidata non possa essere comunque inferiore a quella che sarebbe spettata al raggiungimento dell'età pensionabile calcolata con i contributi minimi già versati, escludendo quindi dal computo, a ogni effetto, i periodi successivi e la relativa contribuzione meno favorevole e perfino dannosa.

Per l'INPS, che ha resistito in giudizio, "le posizioni del lavoratore subordinato e del lavoratore autonomo, in relazione alla disciplina che regola il trattamento previdenziale loro riservato, sono del tutto incomparabili", evidenziando in molteplici punti di diversità delle rispettive discipline in riferimento all'obbligo contributivo, alla misura dei contributi, al sistema di calcolo delle pensioni, alle cd. finestre mobili, al principio dell'automaticità delle prestazioni vigente solo per i lavoratori subordinati.

L'INPS sostiene che la posizione dei lavoratori autonomi da una parte e quella dei lavoratori subordinati e degli stessi agenti di commercio sono totalmente differenti sotto il profilo della tutela previdenziale e dunque appare plausibile e non in contrasto con l'art. 3 della Costituzione una diversa disciplina in punto neutralizzazione dei contributi dannosi.

L'INPS richiama la tendenza della legislazione in materia previdenziale, particolarmente avvertita negli anni più recenti, sia nel senso di contemperare i diritti degli assicurati alle esigenze di tenuta del sistema previdenziale e di equilibrio del bilancio, ed evidenzia che ciò comporti che l'obiettivo non è più quello di assicurare al pensionato il trattamento migliore possibile, ma quello che deriva del computo complessivo dei contributi maturati nel corso della vita lavorativa.

La Corte di Appello di Trieste ha rimesso la questione al vaglio della Corte Costituzionale ritenendo che le disposizioni censurate violino l'art. 3 della Carta Costituzionale, comportando un'ingiustificata e irragionevole disparità di trattamento con i lavoratori subordinati nella parte in cui non prevedono l'applicazione, anche ai lavoratori autonomi, del principio di "neutralizzazione dei contributi dannosi".

Con la sentenza in commento la Corte Costituzionale ha ritenuto fondata la questione in riferimento al parametro costituito dall'art. 3 Costituzione, così argomentando:

Difatti, se, come si è ricordato, il principio di esclusione dei contributi dannosi è chiamato ad assolvere la funzione di costituire un limite intrinseco alla discrezionalità del legislatore nella scelta, ad esso riservata, del criterio di individuazione del periodo di riferimento della retribuzione pensionabile (da ultimo, sentenze n. 82 del 2017 e n. 388 del 1995), tale esigenza si configura anche in riferimento al reddito pensionabile, e dunque anche nei confronti del regime previdenziale dei lavoratori autonomi.

Il sistema previdenziale è certamente improntato a logiche di solidarietà e non di mera corrispettività, ma anche per il regime pensionistico dei lavoratori autonomi iscritti all'INPS risulta irragionevole che il versamento di contributi correlati all'attività lavorativa prestata dopo il conseguimento del requisito per accedere alla pensione, anziché assolvere alla funzione fisiologica e naturale di incrementare il trattamento pensionistico, determini il paradossale effetto di ridurre l'entità della prestazione.

Non sono, pertanto, condivisibili le argomentazioni addotte dall'INPS e dall'Avvocatura generale dello Stato che fanno leva sui ricordati aspetti diversificati delle discipline fra il sistema previdenziale dei lavoratori subordinati e quello dei lavoratori autonomi per escludere l'applicabilità a quest'ultimo del principio in esame.

Tali assunti, difatti, non risultano idonei a motivare in termini di ragionevolezza la predetta esclusione dei contributi "dannosi" al solo regime previdenziale del lavoro subordinato, o a quello cosiddetto parasubordinato, in quanto avente struttura contributiva simile a quella propria del lavoro subordinato.

Ad avviso di questa Corte, una volta adempiuti i propri obblighi contributivi e conseguiti i requisiti per l'accesso al trattamento pensionistico in ottemperanza alle previsioni normative del sistema di appartenenza, anche nei confronti del lavoratore autonomo la prosecuzione dell'attività lavorativa e della correlata contribuzione dopo la maturazione dei predetti requisiti non può comportare una riduzione del trattamento "virtualmente" conseguito in tale momento.

Sotto diverso profilo, l'INPS obietta che il lavoratore avrebbe potuto accedere al trattamento pensionistico al maturarsi del requisito, per poi continuare l'attività conseguendo supplementi della pensione ovvero la pensione supplementare, ove ne ricorressero le condizioni di legge (art. 6 della legge n. 233 del 1990).

Nemmeno tali considerazioni dell'Istituto possono essere condivise.

Esse, oltre a fare riferimento a elementi fattuali connessi alle opzioni esercitate dall'interessato, risultano contraddittorie rispetto alle stesse finalità costantemente perseguite dagli interventi normativi adottati per assicurare la sostenibilità finanziaria del sistema pensionistico, volti a favorire il mantenimento in attività di lavoro anche (e soprattutto) per ritardare l'accesso al trattamento pensionistico e il conseguente onere a carico della finanza pubblica.

Inoltre, la tesi espressa dall'Istituto determina ulteriori effetti irragionevoli.

Nel caso di specie il lavoratore autonomo che ha optato per la prosecuzione dell'attività lavorativa, anziché accedere al trattamento pensionistico e svolgere successivamente l'attività conseguendo, attraverso l'ulteriore contribuzione, supplementi della pensione o la pensione supplementare, si trova ad essere danneggiato sotto molteplici profili: non percepisce nel frattempo i ratei pensionistici che, com'è noto, sono cumulabili con i redditi da lavoro conseguiti successivamente; non percepisce, a fronte degli ulteriori contributi versati, alcun incremento della prestazione; per contro, subisce perfino una diminuzione del quantum determinabile alla data di maturazione dei requisiti per l'accesso al trattamento pensionistico; in definitiva, a seguito del ritardato accesso al pensionamento, subisce un consistente pregiudizio patrimoniale, qualificabile sia in termini di lucro cessante che di danno emergente.

 

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