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La Corte di Cassazione, con una recente pronuncia, la n. 35935 depositata lo scorso 9 agosto, ha fornito alcuni chiarimenti in ordine alla applicazione dell'aggravante della detenzione di un'ingente quantità di stupefacenti a fini di spaccio e della attenuante della collaborazione.
Nel caso sottoposto ad esame i giudici si sono trovati a decidere in un'ipotesi di detenzione di quantitativo di sostanza stupefacente del tipo marijuana pari a kg. 15 con principio attivo pari gr. 2.805,86, corrispondente a n. 122.234 dosi medie.
La difesa affermava comunque come in questa ipotesi il tribunale e la Corte di appello non avessero fatto corretto uso dei principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità la quale affermava come il significativo superamento della soglia delle dosi non implichi di per sé il concreto rischio per la salute pubblica. Rilevava come "un simile canone valutativo deve essere confrontato con la realtà nella quale la quantità di sostanza si cala, diversamente incidendo quando venga immessa in una metropoli, rispetto a quando essa sia introdotta in una piccola realtà di provincia", verificando quindi l'effettiva incidenza sulla "piazza" di destinazione.
Tale affermazione si riversava anche poi sul profilo soggettivo dell'aggravante in quanto i giudici non avrebbero potuto ex se presupporre dal solo peso del borsone la consapevolezza del fatto che il quantitativo di droga trasportata integrasse il presupposto applicativo della circostanza aggravante in parola.
I difensori lamentavano, poi, l'erronea mancata concessione delle circostanze attenutanti della collaborazione (previste dal D.P.R. n. 309 del 1990) che sarebbe dipesa da una mancata considerazione delle notizie fornite da parte dell'imputato ai fini di indagine, condotta che avrebbe quanto meno potuto rilevare ai fini della concessione generale di cui all'art. 62 n. 6 c.p.
Con ampia motivazione i giudici richiamano i precedenti di legittimità sui vari punti sollevati atti a smentire la costruzione della difesa.
In particolare, nell'ordine, evidenziano come i giudici di merito abbiano tenuto in considerazione il quantitativo di droga detenuta ma con modalità tali da dimostrare di aver compiuto un giudizio di adeguamento della configurabilità dell'aggravante al caso concreto, "congruo e dotato di logica persuasività", proprio in applicazione dei principi richiamati dalla difesa.
In ordine alla seconda censura, sotto il profilo soggettivo dell'aggravante, rilevano come la circostanza in parola sia annoverata tra quelle c.d. oggettive sicché si comunica anche agli altri compartecipi del reato, ancorché sconosciuta o ignorata per colpa, ai sensi dell'art. 59 c.p., comma 2.
Da ultimo, infine, con riguardo alla collaborazione evidenziano come le attenuanti della collaborazione di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 7, e art. 74, comma 7 (invocate dalla stessa difesa), hanno natura speciale rispetto a quella comune di cui all'art. 62 c.p., n. 6 "per cui quest'ultima non può trovare applicazione qualora sia fondata sulla condotta collaborativa che, nella configurazione delle attenuanti speciali, ha una portata più ampia."
Concludono dunque per il rigetto del ricorso.
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Sono un giovane avvocato presso il foro di Siena.
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