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"Un disprezzo per il Sud che si taglia con il coltello". La secessione culturale del signor Ministro

maria-di-benedetto

Uno stridore di unghie sugli specchi preannuncia la caduta di stile. Il tentativo di rimediare alle parole sprezzanti rivolte alla scuola del Meridione si rivela essere null'altro che la conferma del pensiero del ministro dell'Istruzione Marco Bussetti: "L'invito ad aumentare l'impegno– ha .chiarito il titolare del MIUR – non era rivolto agli insegnanti, ma al mondo della scuola in generale". Bene, ma non benissimo.

Durante la sua visita ad Afragola, a chi chiedeva più fondi per l'istruzione Bussetti aveva risposto che al Sud non servono soldi ma più sacrificio e più impegno, dando per scontato che tutti i dirigenti scolastici e tutti gli insegnanti terroni abbiano molta meno voglia di lavorare rispetto a quelli del Nord. Tono e sguardo del 56enne professore di educazione fisica di Gallarate evidenziano il suo disprezzo per le nostre terre mentre sferra un attacco così volgare e insensato che non meriterebbe di essere discusso.

Niente soldi dallo Stato ma solo più olio di gomito e sudore, da parte degli insegnanti del Sud, per recuperare il gap con il Nord. Questo il senso letterale delle parole del ministro dell'Istruzione che hanno fatto infuriare, oltre che indignare, i docenti meridionali. Parole che non tengono conto di una verità nota a tutti, ma stranamente non a colui che, tra le altre cose, è stato dirigente dell'ufficio scolastico regionale della Lombardia: buona parte dei docenti che lavorano in Settentrione proviene dal Mezzogiorno. Motivo per cui le ragioni del gap andrebbero ricercate altrove. 

 Ad esempio, nel grave stato di depressione socio – economico – culturale in cui versano le famiglie, e quindi gli studenti, al di sotto di una certa latitudine. Depressione coltivata, nei decenni, anche da una baldanzosa e spregiudicata imprenditoria nordica che, con l'appoggio della politica del Sud, ha saccheggiato i fondi speciali destinati allo sviluppo di ampie aree del Meridione.

Ne conseguono da sempre alti tassi di emigrazione, pure per gli insegnanti, di povertà, di emarginazione sociale, di criminalità. Ritenere, pertanto, che siano queste le migliori condizioni possibili per insegnare e che, per migliorare i risultati, sia sufficiente l'olio di gomito, significa non solo non essere consapevoli della situazione italiana degli ultimi tre quarti di secolo, ma soprattutto sconoscere le modalità di funzionamento dell'intero pianeta scuola.

Il ministro della secessione culturale dovrebbe sapere che l'Italia è l'unico, tra i principali paesi europei, ad essere sensibilmente distante dal target Europa 2020 sull'istruzione terziaria.

Ugualmente dovrebbe essere una sua preoccupazione quotidiana pensare che circa 600 mila giovani, tra i 18 e i 25 anni, di cui 300 mila nel Mezzogiorno, pur avendo al massimo la licenza media, sono fuori dal sistema di istruzione e formazione professionale. Vuol dire che circa il 14% dei ragazzi italiani, con punte di oltre il 20% in regioni come la Calabria e la Sicilia, per effetto del mancato investimento formativo rischiano di essere esclusi dai processi di modernizzazione di questo Paese. L'impoverimento delle famiglie in conseguenza della crisi economica e la riduzione dei fondi per effetto delle politiche di risanamento pubblico hanno allontanato il nostro Paese dai livelli europei e fatto crescere nelle aree più deboli - non solo nel Mezzogiorno ma anche nelle grandi periferie urbane del Nord - il tasso di abbandono scolastico. Il ministro Bussetti chieda semplicemente chiedere scusa e, se vuol essere ministro dell'intero Paese, vigili attentamente sul processo di autonomia differenziata promosso dalle Regioni del Nord che rischia, in particolare nel comparto scolastico, di dividere l'Italia e di ampliare ulteriormente il divario tra Nord e Sud.  

 

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