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La personalizzazione del danno non patrimoniale

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Il tema del risarcimento del danno non patrimoniale involge nella giurisprudenza senza dubbio il proprio profilo ontologico. La giurisprudenza è intervenuta copiosamente sulle questioni afferenti al danno non patrimoniale non senza cospicui ribaltoni: così la stessa Suprema Corte nel caso concreto respinge il ricorso utilizzando giustamente il baluardo del giudizio di legittimità. La Corte opera una biforcazione: se da un lato v'è un risarcimento forfettario (basato sul meccanismo tabellare) che porta ristoro per le conseguenze "ordinarie" del danno stesso, dall'altro le conseguenze "particolari" determinano strettamente quel concetto di personalizzazione del danno in quanto toccano aspetti "irripetibili" della vicenda e della persona stessa. La pronuncia origina da un incidente stradale: precisamente uno dei conducenti citava in giudizio l'altro conducente e la di lui assicurazione per vedere riconosciuto il proprio diritto al risarcimento del danno non patrimoniale concretatosi in lesioni personali. Sia il giudice di prime cure che la Corte d'appello di Catanzaro rigettavano le pretese del danneggiato di vedersi riconosciuto un risarcimento del danno che andasse oltre quanto stabilito nelle tabelle milanesi. Il danneggiato difatti asseriva che danno sofferto fosse maggiore di quello liquidato in riferimento alle medesime tabelle. Con ricorso alla Suprema Corte il ricorrente così lamentava la violazione degli artt. 1223-1226 e 2056 c.c. e dell'art. 1 del D.P.R. 181/2009 in quanto, in buona sostanza, la liquidazione avveniva sulla base delle semplici tabelle non tenendo conto delle particolarità della vicenda occorsa. 

 Il ricorrente tentava di far valere attraverso gli stessi la legittimità di un "surplus" concretatesi rispettivamente nel mancato guadagno, negli interessi e in una corretta configurazione del danno non patrimoniale. Il combinato disposto degli articoli in questione scardinava, alla luce delle difese del ricorrente, quell'automatismo in cui erano incorsi i giudici di merito nella liquidazione del danno: il percorso logico avrebbe dovuto quindi cablare il danno non patrimoniale agli "aspetti" codificati negli articoli predetti. La Suprema Corte richiama con pregresse pronunce, la "personalizzazione" del danno non patrimoniale: la Corte valorizza le coordinate del danno medesimo nel senso che esso è legato alla singola vicenda e alla persona e che il giudice debba motivare in ordine alle risultanze processuali che mostrino quel "surplus" rispetto alle tabelle. Sapientemente poi la Corte evidenzia, la mancanza delle allegazioni giustificative del "surplus" nell'ottica dell'onere della prova.  

In tal senso il ricorrente, così facendo, ha determinato una ingiusta inversione dell'onere della prova: il mancato assolvimento dell'onere probatorio dunque non può trasmutarsi in una censura sulla valutazione del danno del giudice e conseguentemente sulla liquidazione del danno medesimo. Il ricorrente finisce per far passare come violazione di legge un presunto "vizio" che invece attiene strettamente il merito in quanto legato alla valutazione del fatto da parte del giudice; attività dunque riservata ai giudici di merito e che non è proprio del giudizio di legittimità.

Ne discende inoltre che in tema di onere probatorio il risarcimento delle conseguenze "ordinarie" richiede solo la dimostrazione dell'invalidità, diversamente le conseguenze "particolari" richiedono la prova del maggior danno sofferto.

 

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