Ad agosto, si sa, agli avvocati accade di tutto.
Chiamano alle ore più impensate per dirti che si tratta di questione di vita o di morte:gli chiedi due soldi e l'hanno già risolta in via informale. Boh.
Ormai ho adottato una tecnica ben precisa.
Appena ricevo un messaggio, un messenger o un whatsapp contenenti una insinuante richiesta di aiuto e del conseguente appuntamento risolutivo, indico la data ed il costo del colloquio (il preventivo è obbligatorio, o no? ).
Si tratta di un setaccio rozzo ma molto efficace.
Molti non rispondono più.
Altri affettano superiorità e dicono con grande sprezzatura che non c'è problema.
Non c'è mai problema, porca puttana.
Qualche giorno dopo – ma prima dell'appuntamento – ti inviano un altro messaggio con cui ti danno la disdetta.
Mitici.
Lo percepisci già dal tono che ti diranno di no, ma solo i giorni successivi.
Dirtelo subito – vista l'esosità del prezzo – non fa fine:potresti pensare che quei soldi per loro siano troppi.
Diciamo che non lo penso.
Penso invece che tutti quei soldi lì – l'equivalente di una visita dal medico – non li vogliano dare in mano ad un avvocato.
Tutto qui.
Allora – mi vien voglia di dire – ma non chiamate neanche, che cazzo.
Ormai – in un'era in cui nulla, ma proprio nulla è gratis – perchè chiamare un avvocato per scroccargli un consiglio ?
Pensate che la catena per cui siete amici di un amico dell'avvocato rappresenti ancora una sinecura?
Mah.
La bestia più feroce – d'agosto – resta comunque l'avvocato del cellulare.
Mi spiego meglio.
Esistono avvocati che ti chiamano nel cuore di agosto per parlarti di una pratica che tu – sinceramente – ricordi bene ma di cui al momento – sei al mare o al lago – hai smarrito i dettagli.
Ti risvegliano da quel torpore sacro in cui l'avvocato normale si crogiola nel sole d'agosto. Intendo quel liquido amniotico in cui ci si ritrova soltanto nel mese delle ferie più sacre dell'anno ed in cui si prega di poter cullarcisi ancora, fino a settembre almeno, senza neanche uno squillo telefonico atto a romperti i coglioni.
Invece lui te li rompe, eccome.
Va bene, lo accetti, e lo stai pure ad ascoltare anche se ti chiama sul tuo cellulare.
Dopo un po' che gli hai dato retta – come in tutte le conversazioni normali, tra individui civili – gli esponi la tua versione.
A quel punto noti subito che – dall'altra parte – è come se ripartisse lo stesso disco. Lui non ti ascolta, schiaccia solo il tasto START.
Gli dici a questo punto che la cosa non dipende da te ma che il tuo cliente la vuole così e basta. Tranchant, no ?
Cioè, pensi che se uno ti dice così, l'altro – un collega come te – dovrebbe capire l'antifona.
No, non c'è verso.
Ti dà sulla voce.
Scatta in quel momento quel fenomeno di sovraesposizione telefonica che francamente mi manda in bestia.
Tu parli ma lui parla sopra di te, non ti lascia spazio.
Continua a sciorinare la sua versione, anche se giuridicamente fallace e - francamente – piena di buchi come una fetta di groviera.
E' un dialogo dell'assurdo, perfettamente sterile.
Confesso che anche qui ho sviluppato una tecnica personale che però non è deontologicamente ortodossa.
Ascolto più che posso il mio interlocutore, cerco di piazzare qualche parola, gli vado un poco sulla voce per affermare anch'io il mio pensiero (sono costretto) e poi – quando vedo che non c'è verso perchè lui continua a parlarmi addosso con un'ostinazione quasi autistica – lo mando a fanculo.
Ve l'avevo detto che questa tecnica – molto istintiva e poco raziocinante – vi avrebbe condotto su una cattiva strada.
Non seguitela ma sappiate che è considerata davvero liberatoria.
Ah, dimenticavo.
Questo tipo di collega non impazza soltanto ad agosto. Lo potete ritrovare in più fasi dell'anno perchè migra durante le stagioni.
L'importante è riconoscerlo al primo colpo.
Come dite?
No, non esiste una semeiotica precisa del Collega imbecille.
Lo scoprite quando siete già finiti nella sua ragnatela.
Dite sempre poche parole, allora.
Non vi sbaglierete mai.