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Finite le effervescenze "politiche", è ora che l'avvocatura e gli avvocati tornino a parlare della loro vita professionale, cercando soluzioni allo stallo professionale che apparentemente li paralizza.
Uscire dalle logiche sempre perseguite ed ormai arruginite è forse l'unica soluzione; ed è bene cominciare dalla analisi del "core business" degli avvocati, e cioè la soluzione dei conflitti.
Il conflitto è parte integrante della vita, così come parte integrante del conflitto è la sua soluzione: chi entra in conflitto ha necessità di superarlo per poter continuare a vivere.
Esistono molti modi per superaree risolvere il conflitto: la sottomissione, ad esempio,o dall'altro lato esatto la comunicazione spezzata, cioè l'interruzione di ogni forma di contatto.
Esistono poi molti conflitti: di classe, generazionali, familiari, personali, imprenditoriali.
La necessità di risolvere e superare il conflitto viaggia insieme al conflitto, anche se non lo si vuole ammettere: chi interrompe la comunicazione con l'avversario, ad esempio, prima o poi dovrà affrontare il problema. Più tempo è passato, più sarà difficile ricomporre la situazione.
Eppure, come dicevamo, il conflitto è parte integrante della vita, o addirittura è la vita stessa.
Non si dia alla parola "conflitto" un significato troppo gravoso: conflitto è il mutamento,l'evolversi delle situazioni, con il conseguente cambio di prospettive ed interessi dei players interessati.
Due soggetti esperti affronteranno quindi il "conflitto" utilizzando capacità acquisite nel tempo.
Ma ovviamente non tutti sono esperti nell'affrontare un "conflitto": è il mancato superamento del conflitto, la comunicazione spezzata, che genera la lite che deve essere ricomposta.
Noi tutti sappiamo che le "posizioni" giuridiche si tutelano nei Tribunali: possiamo dire che l'attività della complessa macchina della Giustizia è la "tutela giurisdizionale dei diritti".
Ma tutti noi sappiamo anche che al di là delle "posizioni" vi sono "interessi" che si sovrappongono e si accavallano, al di sotto di una linea che non tutti riescono a vedere: il caso ricorrente è quello della divisione ereditaria.
Le posizioni in una divisione ereditaria sono chiarissime: ogni erede ha diritto a una frazione del patrimonio relitto facilmente "misurabile". Metà, un terzo, quello che sia, la tutela giurisdizionale del diritto successorio consiste nella tutela della misura matematica della quota parte.
Eppure, sappiamo tutti che ben altro entra in gioco in una divisione ereditaria: conflitti nati decine di anni prima, rivendicazioni riguardo l'affetto oil corretto rapporto con il dante causa, meriti e demeriti che nelle aule di giustizia non possono essere affrontati.
Ecco , questo è il senso della "mediazione": parleremo quindi della "mediazione" come approccio, ma prima occorre fare una premessa.
L'espressione "mediazione" almeno per la lingua italiana è infelice, e non rende assolutamente l'idea di quanto vi sia dietro.
Occorre quindi porsi il problema di cosa sia esattamente la "mediazione", al fine di qualificarla esattamente: abbiamo detto che il conflitto è parte della vita stessa, e che il superamento del conflitto consente di progredire, nel senso letterale del termine di "andare avanti".
La popolazione italiana è abituata ormai a portare il conflitto nelle aule dei Tribunali, delegando la soluzione a terzi, i giudici, cui possono parlare solo persone qualificate, esperti di diritto, gli avvocati: i soggetti del conflitto restano dunque fuori del conflitto stesso, che viene analizzato, sviscerato e risolto con tecniche giuridiche e procedurali quasi sempre incomprensibili all'utente stesso, il quale potrà alla fine ascoltare solo le espressioni "Abbiamo vinto" o "Abbiamo perso", e sarà costretto a prendere decisioni che sempre di più lo allontanano dalla soluzione vera del conflitto: se ha vinto, infatti, dovrà decidere se e come utilizzare la sentenza,aumentando la pressione sull'avversario. Se ha perso, dovrà difendersi, aumentando la rabbia e l'odio per la controparte e dovendo inoltre decidere se proseguire nella via giurisdizionale.
Ora, se tutto questo è chiaro, non è altrettanto chiaro cosa sia la "mediazione", a lungo avversata dagli avvocati italiani, per la sua obbligatorietà.
A noi apparirebbe opportuna una "mediazione" completamente libera, affrancata dai vincoli macchinosi della mediazione italiana, ma non è questo il tema dell'intervento, che è invece "la mediazione come approccio".
Ora, è ovvio che l'approccio è quello ad una diversa soluzione del conflitto: si ragioni dunque su questo concetto.
Dopo la comunicazione spezzata, l'avvocato può essere chiamato a svolgere due ruoli diversi: vigilare sulla esatta tutela giurisdizionale del diritto, o partecipare alla composizione della lite.
E' evidente che nel secondo caso, protagonisti veri della vicenda saranno le parti, assistite e non sostituite dai loro avvocati.: la mediazione sarà quindi una negoziazione dei propri interessi e non delle proprie posizioni.
Ecco che l'approccio alla mediazione assume quindi una particolare importanza:
1. Consapevolezza della scelta: non scontro ma confronto;
2.Ricerca della soluzione in tempi rapidi;
3. Presenza dell'avvocato come auditor, cioè come consigliere, e non come delegato pieno cui si affida il proprio destino giudiziario;
4. Confronto anche come scontro, inteso come chiarimento e come ricerca della soluzione che porti verso il futuro.
E' fondamentale infatti comprendere che il conflitto risolto giurisdizionalmente cristallizza fatti ormai avvenuti, enon da alcuna possibilità di crescita: un giudizio, una lite giudiziaria vuol dire affrontare un problema con la testa volta all'indietro.
In Sardegna, con espressione molto più efficace della parola "mediazione", si indicano come solutori dei conflitti gli "hominesde mezu", cioè quelle persone che per esperienza, terzietà, conoscenza dei fatti sono in grado di guidare i contendenti verso la soluzione del problema: perché questa è l'essenza della "mediazione".
Si tratta di un percorso comune, guidato da una terza persona, da un terzo occhio, che sa discernere i fatti, dare il giusto valore anche alle cose apparentemente piccole.
Un esperto agricolo diceva che per potare un albero di alto fusto occorreva dei pazzi per aria e un savio per terra: il senso, traslato alla mediazione, appare chiarissimo. I contendenti sono sull'albero, alto, e ogni mossa può essere controproducente o pericolosa anche per chi sta nei dintorni. Il savio in terra, guardando da una diversa prospettiva, può dare indicazioni disinteressate e importanti su aspetti che coloro che stanno sull'albero non possono percepire.
Ora, è chiaro che non tutto è mediabile, né tutti sono in grado di fare i mediatori.
Alcune questioni devono necessariamente essere portate in Tribunale, e i litigators, cioè gli esperti di contenzioso giudiziario, sono necessari. Altre questioni, invece, vanno affidate agli amichevoli compositori.
L'approccio alla mediazione, quindi necessariamente comporta una riflessione sulla natura del conflitto ancor prima della scelta dello strumento risolutivo.
Comporta inoltre la consapevolezza che alcune questioni, al di là delle posizioni giurisdizionali, coinvolgono essenzialmente rapporti personali, incrinati e che non si riescono a sbloccare: possiamo fare un rapido elenco.
Rapporti societari tra soci che hanno perso il filo che li teneva uniti e hanno interessi diversi da quelli con i quali si sono uniti.
Rapporti familiari: è di tale evidenza il senso della mediazione familiare che appare addirittura inutile dilungarsi in queste brevi righe.
Divisioni ereditarie: Salomone che voleva tagliare il bambino a metà di fronte alle due donne che se lo contendevano è la plastica rappresentazione di quanto affermato sinora. Le posizioni giuridiche in una divisione ereditaria si misurano a peso. Eppure invece gli interessi possono anzi sono altri: un certo libro, un certo mobile, ai quali possono essere legati ricordi che gli altri contendenti non conoscono,il riconoscimento di un ruolo, l'abbraccio al fratello sempre considerato lo scapestrato della famiglia non sono elementi che entrano in Tribunale. In mediazione si.
Questa è la natura dell'approccio alla mediazione: riappropriarsi del conflitto, incorporarlo e affrontarlo senza delegare a nessuno. Essere partecipi della negoziazione in atto, in mediazione.
Approcciare in questo modola mediazione vuol dire mettersi in gioco: non tutti sono in grado di farlo.
Ma mettersi in gioco vuol dire riappropriarsi della propria vita, e non fare diventare una questione per noi importante una partita a scacchi, dove l'esito finale è solo "Ho vinto" "Ho perso".
In mediazione si può vincere in due: è la logica "win/win", sulla quale in Italia c'è ancora da lavorare tanto.
Parleremo in seguito di una altra strada, e cioè dell'arbitrato, con particolare riferimento all'arbitrato domestico
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Sono nato a Roma nel 1955, Foro di Roma dal 1993, Cassazionista dal 2006. Sono esperto di contenzioso in diritto commerciale, societario, bancario, assicurativo e civile, con approfondita esperienza in campo penale nel settore dei reati finanziari. Ho lavorato anche all'estero, in particolare in Cecoslovacchia e URSS e nella mia vita professionale e privata ho praticato e conosciuto 5 lingue (inglese, francese, russo , tedesco e spagnolo). Sono stato Redattore presso la Compagnia Editoriale srl per le testate Bicisport e Cicloturismo, Docente di Fascia A presso l’Istituto di Studi Giuridici “A.C. JEMOLO” e relatore in numerosi convegni. Nel settore ADR (Alternative Dispute Resolution) sono stato Vice Presidente della Delegazione Italia della Cour Europeenne d'Arbitrage, ho conseguito il titolo di Mediatore nel 2010, ho condotto circa 300 Mediazioni ed ho numerose pubblicazioni su riviste specializzate in materia di arbitrato e mediazione. Nel 2011 sono stato Componente della XXI Commissione per gli esami di abilitazione alla professione di avvocato presso la Corte di Appello di Roma. Discendo da una famiglia di Avvocati per 5 generazioni e come dico spesso "ve conosco tutti!". Ho scritto due libri : “Uno di duecentocinquantamila – troppi avvocati” e “Avvocà, per ora grazie”, in cui ho voluto narrare, anche in chiave ironica e fantastica, i drammi della nostra professione, i rapporti con i Clienti, con i Colleghi e con le Istituzioni Forensi. La nobiltà e la dignità che, nonostante tutto, la caratterizzano. La mia passione sono i libri, leggerli e scriverli.