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La giornata della Memoria. Ci dice ancora qualcosa?

La giornata della Memoria. Ci dice ancora qualcosa?

 Nei giorni delle scorse settimane, abbiamo assistito ad una ricerca di notizie, di episodi, di foto, di storie di protagonisti, di martiri e di sopravvissuti, legati ai Campi di stermino nazi-fascisti. Ricerca effettuate da frotte di ragazzini delle elementari e delle scuole medie, soprattutto, in attesa del 27 gennaio che, come ogni anno dal 2001, ci si prepara all'appuntamento per rinfrescarci la memoria di quanto accaduto in Europa dal 1933, presa del potere in Germania da Adolf Hitler, fino al maggio 1945, fine della Seconda guerra mondiale.

Penso, ma non ne sono sicuro, non avendo nipoti che frequentano le scuole superiori, se anche in altri ordini scuola, i ragazzi si siano dati da fare.

Le Pubbliche amministrazioni, non mancano, anche se in un momento con qualche difficoltà come quello attuale, di rimarcare l'avvenimento.

Tutto questo lo si deve alla legge Colombo-De Luca, pubblicata numero 211 della Gazzetta Ufficiale del 20 luglio 2000, che dà mandato alle pubbliche autorità di organizza la "Giornata della Memoria". Un giorno da ricordare, quel 27 gennaio 1945, in cui l'esercito sovietico aveva abbattuto i cancelli del campo di sterminio di Auschwitz.

Qualche lettore potrebbe interpretare, in modo fuorviante, il sottotitolo e il punto di domanda: "Ci dice ancora qualcosa?".

È una vecchia domanda che molti si ponevano, Anni Ottanta e Novanta, tra gli intellettuali e la politica, soprattutto tra le nuove generazioni.

E non è un caso se uno degli intellettuali più importante di quel tempo, Franco Fortini, aveva lanciato un grido di allarme: "Le vetrine di Auschwitz sono giustamente mute a chi non le investe di una partecipazione presente".

 E, come accade molto spesso più ci si allontana dal tempo dei fatti, meno ci sentiamo coinvolti.

Non mancano gli strumenti, documenti, libri che comprovano quei fatti. Soprattutto non mancano le iniziative che portano intere scolaresche in quei luoghi dove si era fermata la cultura dell'umanità. Dove si erano perpetuati i segni di un potere dispotico, di annullamento di ogni traccia di riconoscimento di dignità in ogni povero cristiano che si era trovato al momento e nel luogo sbagliati.

Ed è una testimonianza incontrovertibile ogni scritto, ogni parola, ogni punto, ogni virgole di Primo Levi, grande scrittore, quasi suo malgrado, di una tragedia inimmaginabile.

Il più delle volte si è portati a credere che siano stati colpiti solo cittadini ebrei. Non è affatto così.

Nei campi di sterminio trovarono la morte circa dieci milioni di persone, di cui cinque milioni e novecento mila ebrei, il resto intere comunità di omosessuali, anti-sociali, dissidenti politici.

Non so quanti ricordano Simon Wiesenthal. È stato un ingegnere e scrittore di origine austriaca. Come Primo Levi, è stato un superstite di un campo di sterminio nazista. Dopo la guerra si dedicò alla raccolta di informazioni sui gerarchi nazisti, che si erano dati alla latitanza, sfuggendo alla cattura e al processo di Norimberga, per poterli rintracciare e sottoporre a processo tanto da guadagnarsi il soprannome di "cacciatore di nazisti".

 E il timore che la memoria, con il tempo, potesse affievolirsi fino ad entrare nei labirinti oscuri della storia lo avevano chiaro in mente sia Levi sia Wiesenthal.

Nell'Introduzione al primo volume delle opere complete di Primo Levi, Daniele Giudice, scrittore e sensibilissimo poeta, scomparso lo scorso mese di settembre, riporta una citazione di Primo Levi nella prefazione al suo libro: "I sommersi e i salvati" citando Simon Wiesenthal: "… i militi delle SS si divertivano ad ammonire cinicamente i prigionieri: 'In qualunque modo questa guerra finisca, la guerra contro di voi l'abbiamo vinta noi; nessuno di voi rimarrà per portare testimonianza, ma se anche qualcuno scampasse, il mondo non gli crederà. […] E quando anche qualche prova dovesse rimanere, e qualcuno di voi sopravvivere, la gente dirà che i fatti che voi raccontate sono troppo mostruosi per essere creduti".

E Levi e Wiesenthal non avevano tutti i torti, se ancora oggi assistiamo a raduni nazifascisti inneggiando a Hitler o a Mussolini.

Perché, invece, riteniamo sia importante questo appuntamento annuale.

Perché la memoria ci ricorda fatti, eventi, personaggi, latitudini, geografie e storie che, con il tempo, corrono il rischio di essere interpretate con strumenti ideologici, falsificazioni di vario genere con la complicità di "autorevoli governanti" e di silenti cittadini.

Ed è quello che dobbiamo evitare.

 

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