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Cento anni fa nasce Primo Levi

rizzo

Primo Levi nasce a Torino il 31 luglio 1919, "nella stessa casa dove abiterà, poi tutta la vita". E dove morirà suicida l'11 aprile 1987.

La storia di questo Uomo, ebreo, "testimone e scrittore" di una delle più grandi tragedie dell'Umanità, è conosciuta, grazie alle sue opere, per la narrazione sconvolgente della vita nei "lager" nazifascista che doveva servire alla "soluzione finale degli ebrei" dalla faccia della terra.

Questi erano gli obiettivi del nazismo hitleriano, fatti proprio anche dai comprimari fascisti, accorsi "festosi", ieri come oggi, a dar man forte al "fuhrer" che, dopo aver stracciato tutti i "Patti" internazionali, disattese tutte le regole costituzionali, parlamentari, in un primo tempo sottoscritti, non esitò a scatenare il Secondo conflitto mondiale.

Primo Levi era un chimico ricercatore che, dopo la laurea, non aveva esitato a "seppellirsi" in una cava di amianto "… per isolare il nichel dai materiali di discarica". In seguito si trasferisce a Milano e si occupa della ricerca di "… nuovi farmaci" per la cura del diabete.

Tutto faceva presagire una vita tranquilla. E così sicuramente sarebbe stato, se non fosse intervenuta la guerra, la caccia all'ebreo, la militanza partigiana dal 1943 tra le file di "Giustizia e Libertà"; viene arrestato, il 13 dicembre 1943, dai nazi-fascisti e internato nel campo di Fòssoli, una frazione del comune di Carpi in Emilia.

Nel mese di febbraio 1944 viene trasferito ad Auschwitz: numero 174 517!

E comincia un'altra storia.

Un'altra storia che Levi affida, (oltre alle numerose interviste, saggi, racconti e partecipazione a numerosi "Convegni"), a tre libri "Se questo è un uomo", pubblicato nel 1947; "La tregua", 1963" e "I sommersi e salvati", 1986, ultimo libro pubblicato prima della sua morte.

"Se questo è un uomo" narra la quotidianità della vita nel lager: dal viaggio alla fame, dalle tecniche usate dagli aguzzini affinchè ogni internato cancellasse qualsiasi aspetto della propria identità. Ecco perché ad ogni internato veniva assegnato un numero sul braccio sinistro come "…marchio tatuato" che accompagnerà, i sopravvissuti per tutta la vita.

"Se questo è un uomo", è stato pubblicato, la prima volta, dall'editore De Silva, essendo stato rifiutato da Einaudi che, inseguito lo ripubblicherà assieme ad altre opere di Levi.

Il libro, come tutti i libri, va letto dal principio alla fine, per cogliere la descrizione dei personaggi e delle loro psicologie, degli eventi…! 

La seguente citazione, scritta dallo stesso Levi, è parte della "Prefazione" anche se un po' lunga, penso dia la possibilità, soprattutto a chi non ha letto il libro, di stimolarne l'acquisto e la lettura: "… questo mio libro, in fatto di particolari atroci, non aggiunge nulla a quanto è ormai noto ai lettori di tutto il mondo sull'inquietante argomento dei campi di distruzione. Esso non è stato scritto allo scopo di formulare nuovi capi di accusa; potrà piuttosto fornire documenti per uno studio pacato di alcuni aspetti dell'animo umano. A molti, individui a popoli, può accadere di ritenere, più o meno consapevolmente, che 'ogni straniero è nemico. Per lo più questa convinzione giace in fondo agli animi come una infezione latente; si manifesta solo in atti saltuari e incoordinati, e non sta all'origine di un sistema di pensiero. Ma quando questo avviene, quando il dogma inespresso diventa premessa maggiore di un sillogismo, allora, al termine della catena, sta il lager. Esso è il prodotto di una concezione del mondo portata alle sue conseguenze con rigorosa coerenza: finché la concezione sussiste, le conseguenze ci minacciano.

La storia dei campi di distruzione dovrebbe venire intesa da tutti come un sinistro segnale di pericolo. Mi rendo conto e chiedo venia dei difetti strutturali del libro. Se non di fatto, come intenzione e come concezione caso è nato già fin dai giorni di lager. Il bisogno di raccontare agli 'altri', di fare gli 'altri' partecipi, aveva assunto fra noi, prima della liberazione e dopo, il carattere di un impulso immediato e violento, tanto da rivaleggiare con gli altri bisogni elementari; il libro è stato scritto per soddisfare a questo bisogno; in primo luogo quindi a scopo i liberazione interiore…". 

 "La tregua" affronta le ultime settimane di permanenza nel lager, per l'irresistibile avanzata delle truppe russe e gli incessanti bombardamenti delle forze alleate sul territorio tedesco.

Il 27 gennaio 1945 arrivano le prime truppe russe sul campo di concentramento di "Auschwitz". Primo Levi è ricoverato all'infermeria del lager con altri 800 internati. "Di questi, circa cinquecento morirono delle loro malattie, di freddo e di fame, prima che arrivassero i russi, ed altri duecento, malgrado i soccorsi, nei giorni immediatamente successivi".

Dopo questo "incipit" inizia la narrazione del viaggio di ritorno a casa in condizioni veramente disperati.

Le varie "soste" in altri campi di concentramento, di raccolta di profughi, gli spostamenti a piedi, con mezzi di fortuna, in treno…!

Fino il ritorno a casa il 18 ottobre 1945.

Uno dei capitoli del libro "Se questo è un uomo", ha il titolo di "I sommersi e i salvati" che, nel 1986 Levi sceglie come titolo del suo ultimo libro.

Infatti ritornano alla mente dei sopravvissuti i momenti dolorosi della loro permanenza nei luoghi della sofferenza, della distruzione dell'identità personale: è un passato che fatica a passare.

Un bellissimo capitolo, di questa opera, "La vergogna", siamo dell'avviso, possa aiutarci moltissimo ad entrare nello spirito dell'ultima fatica letteraria di Primo Levi.

"Esiste un quadro stereotipo, proposto infinite volte, consacrato dalla letteratura e dalla poesia, raccolto dal cinematografo: al termine della bufera, quando sopravviene 'la quiete dopo la tempesta', ogni cuore si rallegra. 'Uscir di pena / è diletto fra noi'. Dopo la malattia ritorna la salute; a rompere la prigionia arrivano i nostri, i liberatori, a bandiere spiegate; il soldato ritorna, e ritrova la famiglia e la pace. A giudicare dai racconti fatti da molti reduci, e dai miei stessi ricordi, il pessimista Leopardi, in questa sua rappresentazione, è stato al di là del vero: suo malgrado, si è dimostrato ottimista. Nella maggior parte dei casi, l'ora della liberazione non è stata lieta né spensierata: scoccava per lo più su uno sfondo tragico di distruzione, strage e sofferenza. In quel momento, in cui ci si sentiva ridiventare uomini, cioè responsabili, ritornavano le pene degli uomini: la pena della famiglia dispersa o perduta; del dolore universale intorno a sé della propria estenuazione, che appariva non più medicabile, definitiva; della vita da ricominciare in mezzo alle macerie, spesso da soli>>.

Quella solitudine che porterà Primo Levi a quella drammatica scelta dll'11 aprile 1987.

 

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