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La consulenza tecnica d'ufficio nel processo del lavoro

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Inquadramento normativo: Art. 424 c.p.c.

La consulenza tecnica d'ufficio e il processo del lavoro: Nel processo del lavoro, «se la natura della controversia lo richiede, il giudice, in qualsiasi momento, nomina uno o più consulenti tecnici, scelti in albi speciali, a norma dell'art. 61 c.p.c. […] Il consulente può essere autorizzato a riferire verbalmente e in tal caso le sue dichiarazioni sono integralmente raccolte a verbale, salvo quanto previsto dal precedente art. 422 c.p.c. Se il consulente chiede di presentare relazione scritta, il giudice fissa un termine non superiore a venti giorni, non prorogabile, rinviando la trattazione ad altra udienza».

L'oggetto della consulenza tecnica d'ufficio nel processo del lavoro: Anche per le controversie di lavoro e previdenza, la consulenza tecnica d'ufficio ha ad oggetto un accertamento di situazioni che richiedono cognizioni o strumentazioni tecniche. Quando il Giudice del lavoro si avvale dell'ausilio di un consulente, egli può aderire alle conclusioni di quest'ultimo «senza essere tenuto a motivare esplicitamente l'adesione. Tuttavia, se le affermazioni contenute nell'elaborato peritale siano oggetto, nella impostazione difensiva della parte, di critiche precise e circostanziate idonee, se fondate, a condurre a conclusioni diverse da quelle indicate nella consulenza tecnica, allora il Giudice non può limitarsi a generiche affermazioni di adesione al parere del consulente» (Cass., nn. 1628/1983; 7150/1995; 11711/1997; 1975/2000; 4797/2007; 10688/2008; 1149/2011, richiamate da Cass. civ. Sez. lavoro, n. 19572/2013). 

Potere del Giudice di disporre l'integrazione delle indagini peritali o di nominare altri consulenti tecnici e insindacabilità in sede di legittimità: Anche nell'ambito del processo del lavoro, la consulenza tecnica non è un mezzo di prova, bensì un mezzo istruttorio. Ciò sta a indicare che essa è sottratta alla disponibilità delle parti e affidata al prudente apprezzamento del giudice. In buona sostanza è quest'ultimo che valuta l'esaustività o meno delle indagini espletate dal consulente. Infatti, è il giudice che decide se:

  • integrare dette indagini riconvocando il consulente per dei chiarimenti (Cass. nn. 17906/2003, 5777/1998, 8611/1995, 10972/1994, richiamate da Cass. civ. Sez. lavoro, n. 6507/2011);
  • rinnovare la perizia attraverso la nomina di altri consulenti (Cass. nn. 17906/2003, 5777/1998, 8611/1995, 10972/1994, richiamate da Cass. civ. Sez. lavoro, n. 6507/2011).

Questo potere del giudice è sottratto al sindacato in sede di legittimità sotto il profilo del difetto di motivazione, «salvo che l'esigenza di procedere a una nuova consulenza (o di chiamare il consulente a chiarimenti o, ancora, di effettuare accertamenti suppletivi o integrativi) sia stata segnalata dalle parti e il giudice non ritenga di accogliere la relativa istanza» (Cass. nn. 17906/2003, 5777/1998, 8611/1995, 10972/1994, richiamate da Cass. civ. Sez. lavoro, n. 6507/2011).

Limite intrinseco della consulenza tecnica: «La consulenza tecnica ha un limite intrinseco consistente nella sua funzionalità alla risoluzione di questioni di fatto presupponenti cognizioni di ordine tecnico e non giuridico, sicché così come i consulenti tecnici non possono essere incaricati di accertamenti e valutazioni circa la qualificazione giuridica di fatti e la conformità al diritto di comportamenti, analogamente se, per ipotesi, il consulente effettua, di propria iniziativa, simili valutazioni non se ne deve tenere conto, a meno che esse vengano vagliate criticamente e sottoposte al dibattito processuale delle parti» (Cass., n. 17720/2011; Cass. SU, n. 11037/2008; Cass., n. 996/1999, richiamate da Cass. civ. Sez. lavoro, n. 1186/2016). 

Ne consegue che il consulente tecnico, nominato nell'ambito del processo di lavoro, non può esprimere valutazioni in merito al carattere usurante dell'impegno lavorativo. E ciò in considerazione del fatto che detta valutazione implica cognizioni non tecniche, ma giuridiche e come tali sottratte alle indagini del consulente tecnico d'ufficio (Cass. civ. Sez. lavoro, n. 1186/2016), essendo il concetto di lavoro usurante previsto dalla Legge n. 222/1984. La valutazione in questione, in tali casi, sarebbe finalizzata a determinare se il perdurare dell'attività abbia arrecato un pregiudizio per l'efficienza fisica del lavoratore tanto grave da dover riconoscere a quest'ultimo il diritto all'assegno di invalidità (Cass., n. 11798/1995, richiamata da Cass. civ. Sez. lavoro, n. 1186/2016). 

Nuova consulenza disposta in sede di giudizio d'appello: Con riferimento alle controversie previdenziali e di lavoro, «allorché, in sede di giudizio di appello, venga disposta una nuova (rispetto a quella eseguita in prime cure) consulenza tecnica d'ufficio, l'eventuale accoglimento, da parte del giudice del gravame, della tesi del secondo consulente d'ufficio presuppone necessariamente una comparazione critica delle due relazioni di consulenza tecnica; detta comparazione, tuttavia, non postula, tassativamente, un'esplicita esposizione delle deduzioni dell'uno o dell'altro consulente, con analitica confutazione delle argomentazioni poste a base delle conclusioni del primo dei due ausiliari. In tali casi, occorre solo che il giudice del merito non si limiti a una acritica adesione al parere del secondo ausiliario, ma valuti le eventuali censure di parte, indicando le ragioni per cui ritiene di dover disattendere le conclusioni del primo consulente (Cass., nn. 4657/2011; 3577/2004; 7227/1994, richiamate da Cass. civ. Sez. lavoro, n. 21528/2016), così dimostrando di avere tenuto conto delle critiche mosse dalla parte. Il giudice che lascia senza risposta quelle censure e non prende in esame i rilievi delle parti, limitandosi a generiche affermazioni di adesione al parere del consulente, viene meno all'obbligo della motivazione su un punto decisivo della controversia» (Cass., nn. 919/1986; n. 794/1964, richiamate da Cass. civ. Sez. lavoro, n. 21528/2016).

 

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