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Rolando Rizzo, teologo e Pastore della Chiesa Avventista Cristiana del 7° Giorno, in pensione, arriva a questi 15 racconti, "Cieli Tamarri. La Comunione dei numeri ultimi" dopo aver dato alle stampe una trilogia, "Il Mulino di Colognati" (2007), "Il Viaggiatore", (2009) e il "Terzo treno" (2011). Tre libri che raccontano la vita, le vicissitudini, l'atavica povertà, le sopraffazioni, le emozioni, le pulsioni, gli impulsi, i desideri, attraverso la memoria,
E Rolando Rizzo indaga con occhio commosso, umanissimo e spesse volte fraterno, la vita dei "vinti". E degli "ultimi".
E più di un critico, leggendo le opere di Rolando Rizzo, l'ha collocato, e a giusta ragione, ci vien voglia di dire, in quel vasto movimento del "verismo" che in Luigi Capuana e in Giovanni Verga ebbero i capostipiti tra gli ultimi decenni dell'Ottocento e i primi del Novecento. Autori che si sono soffermati, come ci ricorda Alberto Asor Rosa, nella descrizione "... su ambienti agricoli e provinciali e sulle plebi contadine, che costituivano allora in Italia la grande massa della popolazione più abbruttita e miserabile".
Ma il popolo raccontato da Rolando Rizzo, nelle sue opere, non è il popolo fatalista, ripiegato su se stesso, senza speranza e disamorato dalla sua vita passata, presente e futura. Personaggi che troviamo, di norma, nelle opere "veriste" italiane.
Ricorda per certi versi, "quel volgo disperso che nome non ha", come direbbe il Manzoni.
Ed è proprio questo verso finale dell'Atto Terzo dell'Adelchi, che mi porta a dire che i personaggi di Rolando Rizzo sono più simili ai quelli manzoniani. Non bisogna dimenticare che Renzo Tramaglino è un umile servitore, figlio del popolo che, armato delle parole del Vangelo, anche contro i potenti, entra nella storia perché crede nella speranza di un futuro e abbandona la millenaria rassegnazione.
Ciò ci porta meglio a comprendere il sottotitolo di Cieli tamarri: "La comunione dei numeri ultimi" come controcanto al libro "La solitudine dei numeri primi" di Paolo Giordano, vincitore nel 2008 del Premio Strega e del premio Campiello, opera prima. Un bel libro i cui personaggi, Mattia e Alice, purtroppo, non hanno futuro. Certo sono figli di epoche diverse, ma senza speranza.
ho letto, e riletto, questi ultimi 15 racconti, scritti con tanta passione, con proprietà di linguaggio, con un uso sobrio di qualche espressione dialettale e ha voluto, ancora una volta, tener fede a quell'aureo precetto che tutto il nostro passato rimane giustamente muto a chi non lo investe di una partecipazione presente. Quel passato che non vuole passare, insomma.
Rolando Rizzo, abbandona Rossano Calabro all'età di 14 anni e dopo una vita travagliata, piena, ma il tempo passato ci induce quasi a dire, ricca di esperienze, e arrivato alla "meritata quiescenza", si mette a scrivere.
Ma non lo fa da osservatore estraneo e distaccato dei suoi personaggi.
La povera gente che popola i suoi racconti è frutto delle sue stesse esperienze. L'animo, i sentimenti, le emozioni degli stessi protagonisti sono quelli dell'Autore. Un autobiografismo non di maniera. Piuttosto una testimonianza di un protagonista che affida i suoi ricordi ad una vena lirica e ad una partecipazione struggente.
Ogni racconto è preceduto da "versetti biblici" che hanno il sapore di un "fil rouge", una chiave di lettura, un ammonimento, un invito ad avere speranza se vogliamo uscire da quei condizionamenti che hanno fatto scrivere la storia millenaria solo ed esclusivamente agli uomini del potere. Anche, forse è più indicato dire, soprattutto, gli umili sono gli autentici personaggi di questi racconti.
Ogni racconto è ricco di figure, di avvenimenti, di stimoli e si presta, ad un ascolto attento attorno al fuoco di un caldano ed in religioso silenzio. Ogni racconto è una miniera di buoni consigli, di attenzioni, e di rispetto, verso la natura, l'ambiente, le persone, gli animali, le cose. …! E verso le persone.
"Quando, avrete bisogno di un riparo, se è sera e anche gli animali sono stanchi, legate la cavezza al basto del ciuccio come lasciandolo libero, vi porterà al riparo più vicino", dirà u "zu Carmelo" rivolto a Minicuzzu e Vavannu, due cuginetti e "fratelli di latte, nati lo stesso giorno, nutriti entrambi dalla mamma di Minicuzzu, i cui seni parevano essere stati benedetti dalla Madonna delle balie, al contrario della mamma di Vavannu che nemmeno pareva avesse partorito". Raccomandazioni per due giovani che intraprendono un'avventura, finita male per la mancata realizzazione; ma benissimo perché hanno trovato la solidarietà di altre persone e, soprattutto delle proprie mogli.
"Siroru e ru ciucciu (Isidoro e l'asino)" racconta di un giovane, Isidoro, il Renzo Tramaglino di manzoniana memoria, costretto a lasciare il suo paese perché chiamato dai doveri della patria. Parte per la Russia a seguito delle truppe nazifasciste. E la seconda guerra mondiale è presente in un altro struggente racconto, "Giuvà focu a ra cura" (Giovanni fuoco alla coda).
Isidoro aveva dovuto lasciare una vita dignitosa conquistata contro tutto e contro tutti. Siroru era il primo della famiglia che godeva pienamente i frutti della lotta di un secolo: "... contro il fiume, che d'estate è sabbia secca e in certi inverni è un drago distruttore… […]. Ma, infine, tutte le battaglie erano state vinte. E Siroru ne era orgoglioso, anche perché il nonno prima e il papà poi, nelle lunghe serate invernali davanti ai ciocchi d'ulivo scoppiettanti, erano stati i suoi Omero e Virgilio, che avevano trasformato quella storia di sudore e lacrime in un appassionato infinto poema epico>>.
Siroru arriva in Russia, assiste alla carneficina di soldati italiani, tedeschi, russi e, grazie ad una matura donna russa, Irina, che aveva perso i suoi figli in guerra, si salva e trova rifugio per due anni nella sua casa.
Appassionanti tutti gli altri racconti che abbracciano un'epoca della nostra memoria e non privi di indizi anche per il nostro presente.
P.S. Nessuna parentela tra Rolando Rizzo e il sottoscritto. Io siciliano. Lui calabrese. Ci siamo conosciuti, quasi per caso, e per interessi squisitamente culturali.
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Rosario Antonio Rizzo
Dopo il conseguimento del diploma di insegnante di scuola elementare all’Istituto magistrale “Giuseppe Mazzini” di Vittoria, 1962, si reca in Svizzera, dove insegna, dal 1964 al 1975, in una scuola elementare del Canton Ticino.
Dal 1975 al 1999 insegna in una scuola media, sempre nel Canton Ticino e, in corso di insegnamento dal 1975 al 1977 presso l’Università di Pavia, acquisisce un titolo svizzero, “Maestro di scuola maggiore” per l’insegnamento alla scuola media. Vive tra Niscemi e il Canton Ticino. Ha collaborato a: “Libera Stampa”, quotidiano del Partito socialista ticinese; “Verifiche” bimensile ticinese di scuola cultura e società”; “Avvenire dei lavoratori”; “Storia della Svizzera per l’emigrazione”“Edilizia svizzera”. In Italia: “Critica sociale”; “Avanti”; Annali” del Centro Studi Feliciano Rossitto; “Pagine del Sud”; “Colapesce”; “Archivio Nisseno”.