È bastata una ordinanza cautelare a bloccare il presidente USA Donald Trump.
Ad emetterla il giudice Ann Donnelly il cui profilo è tratteggiato nell´articolo che segue.
Il testo dell´ordinanza, in originale, è invece reperibile qui:
https://www.aclu.org/legal-document/darweesh-v-trump-decision-and-order?redirect=legal-document%2Fdarweesh-v-trump-order
di Angela Manganaro*
Il 25 gennaio 2016, Ann Donnelly legge una frase di Lincoln e giura come giudice del distretto est di New York alla Roosevelt Courthouse, Downtown Brooklyn. L´ha nominata il presidente Obama su suggerimento del senatore Charles Schumer. Alla cerimonia ci sono la mamma Mary, il marito, le figlie Margaret e Rebecca, il futuro genero Dan, ex colleghi di Manhattan. È un venerdì sera a Brooklyn, aula di tribunale, atmosfera informale, sorrisi e appalusi democratici.
Ann indossa un vestito nero maniche corte, una lunga collana di perle e gli occhiali, non sembra una donna con una figlia in età da marito, accetta l´incarico fra le lodi del suo amico, il senatore democratico Schumer detto Chuck: «È una formidabile giurista, ha rispetto e passione per la legge, lei è più del suo brillante curriculum, è una persona gentile, premurosa, caritatevole». Ann diventa giudice federale dopo studi alle Università del Michigan e dell´Ohio, 25 anni da pubblico ministero negli uffici del New York County District Attorney, dal 20o9 giudice alla Court of Claims di New York poi il Bronx. «È riduttivo dire che l´addio del giudice Donnelly è una perdita inestimabile per la Corte Suprema dello stato di New York» dice una collega giudice.
Quel giorno il candidato Trump è a Firmington nel New Hampshire, la Cnn titola «Trump dice che Cruz (suo avverario per la nomination ndr) è un bugiardo», il miliardario di Manhattan su cui quasi nessuno scommette un cent ribadisce il concetto con un video sulla sua pagina Facebook.
Esattamente un anno dopo Trump è presidente e il giudice Donnelly il suo primo intoppo. Ann è la giudice che ha firmato l´ordinanza di emergenza con cui temporaneamente impedisce agli Stati Uniti di espellere i rifugiati che provengono dai sette paesi a maggioranza islamica. Non annulla l´ordine di Trump, ne sospende gli effetti.
Fuori dal tribunale di Brooklyn, ieri notte una folla si raduna a sostegno dei cacciati, in aula l´udienza dura 25 minuti. Ann ascolta gli avvocati dei due iracheni che protestano «il governo li sta letteralmente mettendo su un areo per rispedirli a casa, e non sappiamo neanche quante persone rischiano la deportazione». Gli avvocati che rappresentano il governo quindi il presidente Trump non forniscono sufficenti argomentazioni, la giudice Donnelly chiede loro più volte «Come possiamo essere sicuri che non subiranno un´ingiustiza irreparabile?» «Tutto è avvenuto così in fretta che non abbiamo potuto approfondire nessuna questione» rispondono.
L´American Civil Liberties Union stima che in questo momento fra 100 e 200 persone sono bloccate negli aeroporti americani, gli avvocati del governo non confermano perché, ammettono candidamente in aula, non sanno niente. Il giudice Donnelly conclude che i due iracheni e gli altri nella stessa situazione hanno «una forte probabilità di successo» di provare davanti a una giuria il loro diritto a un giusto processo e che la stessa protezione è stata volanta.
Il giudice Ann ha applicato solo la legge ma è diventata subito simbolo di resistenza al presidente, il primo volto, ne seguiranno altri, saranno probabilmente persone che non hanno ambizioni politiche. Non agiranno in nome del partito democratico che ha fatto colossali sbagli e perso una partita vinta, non sarà la Silicon Valley che deve portare avanti il suo business e dovrà volente o nolente dialogare con la Casa Bianca. Difficilmente nell´immediato sarà decisivo un nuovo leader con aspirazioni presidenziali, sia un miliardario californiano sia
Sarà quel sistema di checks and balances che raffredderà l´irruenza del nuovo presidente. Saranno persone come il giudice Ann Donnelly o il campione Mo Farah, atleta medaglia d´oro 5mila e 10mila metri alle Olimpiadi di Londra e Rio e ai Mondiali, passaporti somalo e britannico, casa e famiglia negli Stati Uniti, « il primo gennaio la regina d´Inghilterra mi ha nominato Cavaliere del Regno, il 27 gennaio è come se il presidente Donald Trump ha fatto di me uno straniero».
Alien negli Stati Uniti è colui che non è citizen, che non ha la cittadinanza ma Mo Farah sembra intendere un´altra cosa, di punto in bianco dopo sei anni non sa se può tornare a casa dai suoi figli in Oregon come fosse stato catapultato in un altro mondo. La resistenza a Trump per ora saranno tutti coloro che per dovere - il giudice Connelly - o necessità - il campione Farah - o pragmatismo - i militari, da decenni esercito e servizi promettono un visto in America agli stranieri che reclutano, ovviamente soprattutto nei paesi musulmani - o idealismo - il regista iraniano Asghar Farhadi, che potrebbe vincere l´Oscar per il film straniero dice che non andrà a Los Angeles alla cerimonia a fine febbraio perché non vuole beneficiare di eccezioni presidenziali - si opporranno ai tortuosi schizzi del nuovo presidente.
*pubblicato su Sole24ore 29.1.2017