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Repechage: illegittimo licenziamento in mancanza di prova

Perché il licenziamento sia legittimo, il datore di lavoro è obbligato a dimostrare di non aver potuto ricollocare (cosiddetto obbligo di repechage) il lavoratore in altra sede, anche se meno prestigiosa.
 
La sezione Lavoro della Suprema Corte, con sentenza n. 13606 depositata il 30 Maggio 2017, si pronunciava in ordine ad una vicenda che ha visto un chef impugnare il proprio licenziamento, avvenuto a seguito di riorganizzazione aziendale e chiusura del ristorante, al fine di chiedere la reintegra ex art 18 dello Statuto dei lavoratori, e l´accertamento del lavoro straordinario che a suo tempo aveva svolto.
Il Tribunale di Siena in prima battuta, respingeva la domanda attorea, condannando la società convenuta al solo pagamento dell´indennità di preavviso.
In sede d´appello, la Corte ribaltava la decisione, e condannava quindi la società per non aver provato il cosiddetto repechage. Sul datore di lavoro grava infatti l´onere, (art. 5 della legge n. 604/66, relativamente alla esistenza di un giustificato motivo oggettivo di licenziamento), alla dimostrazione di non poter ragionevolmente utilizzare il dipendente interessato in altre mansioni equivalenti o, in mancanza, anche in mansioni deteriori, col limite del rispetto della dignità del lavoratore.
 
Adita la Suprema Corte dalla società soccombente per la cassazione della sentenza d´appello, la stessa vedeva rigettata la sua richiesta, perché infondati i motivi di ricorso.
Posto che il ristorante presso cui l´attore originario svolgeva le funzioni di executive chef, era stato chiuso per una scelta dell´imprenditore, e che a ciò era quindi seguito un licenziamento dello stesso chef, che per giustificato motivo oggettivo poteva qualificarsi, data l´insindacabilità di detta scelta, non si è potuto, da parte dei supremi giudici, non porsi l´accento, come già era avvenuto in appello, sulla mancata prova di repechage. Nello stesso gruppo societario, infatti, vi era una sede che avrebbe potuto accogliere il lavoratore, offrendogli un inquadramento simile a quello ricoperto in precedenza nell´altra struttura, non avendo alcuna rilevanza il minore prestigio della nuova sede rispetto alla vecchia.
Per questo motivo, la Corte rigettava il ricorso presentato dalla società ricorrente, condannandola al pagamento delle spese processuali.
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