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L’ABUSO DI AUTORITA’ NELLA DI VIOLENZA SESSUALE: L’INTERPRETAZIONE DELLA NORMA, TRA AUTORITA’ PUBBLICA E AUTORITA’ PRIVATA

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 Con la sentenza n. 27326 del 16.07.2020, le Sezioni Unite hanno risolto un contrasto interpretativo di particolare rilevanza in tema di reati di violenza sessuale, facendo rientrare nel concetto di abuso di autorità ogni forma di strumentalizzazione del rapporto di supremazia, senza distinzioni tra autorità pubblica e privata, utilizzando come parametro di riferimento l'art. 61 n. 11 c.p., non essendo dunque necessaria per il soggetto agente una posizione autoritativa di tipo formale o pubblicistico.

Al centro della presente trattazione, sono una serie di condotte poste in essere da un insegnante di inglese nei confronti di due alunne minori di 14 anni, costrette a subire e a compiere su di lui atti di natura sessuale. A fronte del capo di imputazione che individuava nella condotta dell'imputato l'ipotesi di reato di cui agli artt. 609 bis, 609 ter n.1 e 81 co. 2 c.p., in primo grado, il G.U.P. del Tribunale di Enna, pronunciava sentenza di condanna dell'imputato per il reato di cui agli artt. 609 quater (atti sessuali con minorenne) e 81 co. 2 c.p., qualificando il fatto di reato in termini di lieve entità, tenuto conto del modesto grado di violenza ed offensività rinvenuto nei comportamenti accertati. 

 In secondo grado, la Corte d'Appello di Caltanissetta ribadiva la colpevolezza dell'imputato, riqualificando, a sua volta, i fatti delittuosi ai sensi degli artt. 609 bis (violenza sessuale) e 609 ter (circostanze aggravanti) n. 1 e 81 co. 2 c.p., con conseguente rideterminazione del trattamento sanzionatorio.

L'imputato proponeva ricorso in Cassazione, lamentando la violazione degli artt. 609 bis e 609 quater c.p. per essersi la Corte d'Appello di Caltanissetta discostata dall'orientamento giurisprudenziale fatto proprio dal Giudice di prime cure, secondo cui l'abuso di autorità di cui all'art. 609 bis c.p. presuppone nell'agente una posizione autoritativa di tipo formale e pubblicistico, in mancanza della quale deve trovare applicazione la fattispecie di reato di cui all'art. 609 quater c.p.

A detta dell'orientamento giurisprudenziale menzionato, invece, l'''abuso di autorità", quale modalità di consumazione del reato, si configura in ogni caso in cui si registra un potere di supremazia, anche di natura privatistica, di cui il soggetto agente abusi per costringere il soggetto passivo a compiere o subire atti sessuali.

La questione di diritto rimessa alle Sezioni Unite è la seguente: "Se, in tema di violenza sessuale, l'abuso di autorità di cui all'art. 609 bis co. 1 c.p. presupponga nell'agente una posizione autoritativa di tipo formale e pubblicistico o, invece, possa riferirsi anche a poteri di supremazia di natura privata di cui l'agente abusi per costringere il soggetto passivo a compiere o a subire atti sessuali". Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, prima di risolvere il contrasto giurisprudenziale, hanno ripercorso l'iter giurisprudenziale che ha condotto alla formazione dei due orientamenti contrapposti in merito al reato di violenza sessuale cosiddetta "costrittiva" ovvero compiuto con abuso di autorità. 

 Il primo orientamento trae origine dalla sentenza delle Sezioni Unite del 31.05.2000, n.13, secondo cui l'abuso di autorità ai sensi dell'art. 609 bis co. 1 c.p. presuppone nell'agente una posizione autoritativa di tipo formale e pubblicistico, escludendone, nel caso di specie la configurabilità, nel caso di un insegnante privato che aveva compiuto atti sessuali con un minore di 16 anni a lui affidato per ragioni di istruzione e educazione. Nella pronuncia in questione il concetto di abuso di autorità era ricondotto alla nozione di pubblico ufficiale di cui all'art. 520 c.p., riconoscendo la forza di coartazione derivante dall'esercizio distorto dei poteri; è stato affermato che la posizione autoritativa ai sensi dell'art. 609 bis co. 1 c.p. deve essere tenuta distinta sia dall'ipotesi di cui all'art. 609 bis co. 2 n. 1 c.p., fattispecie caratterizzata dall'induzione all'atto sessuale di persona in condizioni di inferiorità fisica o psichica sia dall'ipotesi di cui all'art. 609 quater co. 1 n. 2 c.p..

La distinzione operata dalla Corte di Cassazione si basava sulla circostanza secondo cui, nell'ipotesi di abuso di autorità, vi è l'elemento della costrizione, elemento non ravvisabile né nell'ipotesi di cui all'art. 609 bis c.p., laddove si riscontra un consenso viziato dalle condizioni di inferiorità della vittima, né nell'ipotesi di cui all'art. 609 quater co. 1 n. 2 c.p. laddove pur essendo ravvisabile il consenso da parte del minore, esso risulta però invalido a causa del rapporto sussistente con l'autore del reato.

Successivamente all'entrata in vigore della legge n. 38 del 2006, con cui è stato inserito un nuovo comma dopo il primo all'art. 609 quater c.p., il quale ha introdotto un'ipotesi di atti sessuali con minorenni residuale rispetto all'ipotesi dell'art. 609 bis co. 1 c.p., qualora l'abuso di autorità venga riferito anche ad ipotesi di poteri di natura privatistica.

La Corte di Cassazione ha ulteriormente precisato che, intendendo come autorità ogni posizione sovraordinata pubblicistica o privatistica, l'art. 609 quater co. 2 c.p. resterebbe praticamente privo di effetti poiché presuppone espressamente l'inapplicabilità delle ipotesi previste ai sensi dell'art. 609 bis c.p., tra le quali rientra anche quella degli atti sessuali commessi con abuso di autorità.

Il secondo orientamento, uniformandosi alla dottrina prevalente, propende per un concetto di abuso di autorità comprensivo anche di relazioni di natura privatistica in cui l'autore del reato riveste una posizione di supremazia della quale si avvale per coartare la volontà della persona offesa.

Le Sezioni Unite rilevano inoltre che ogni qual volta la legge abbia inteso riferirsi a soggetti che rivestono una posizione autoritativa di natura formale lo ha fatto espressamente, a differenza di quanto accaduto con altre disposizioni in cui ha inteso il concetto di abuso di autorità in senso più ampio, comprendendo in esso anche posizioni di preminenza o supremazia non necessariamente di natura pubblicistica.

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