Il principio è stato stabilito dal Consiglio di Stato, Sezione III, con Sentenza 7 marzo 2016 n. 923.
Riepiloghiamo i fatti di causa.
In esito ad una pubblica gara, il dirigente del Comune di Andria disponeva l’aggiudicazione definitiva del servizio in favore di una ditta in r.t.i. con la ditta mandante.
Successivamente, acquisita l’informazione antimafia della Prefettura di Roma con cui si dava conto della sussistenza nei confronti della mandataria delle situazioni relative ai tentativi di infiltrazione mafiosa di cui al d.lgs. 159/2011, il Comune revocava l’aggiudicazione aggiudicando l’appalto alla seconda classificata.
Il TAR del Lazio, con la sentenza appellata (II-bis, n. 11249/2015), aveva accolto il ricorso principale e respinto quello incidentale, annullando la interdittiva e la revoca dell’aggiudicazione e reintegrando l´originaria aggiudicataria. In particolare, il TAR ha ritenuto che l’interdittiva nei confronti avrebbe dovuto scaturire da un autonomo accertamento istruttorio ed essere sorretta da adeguata motivazione, idonea a dare conto di effettivi tentativi di infiltrazione mafiosa a suo carico.
Tale sentenza è stata quindi appellata dalla ditta che, a seguito dei provvedimenti comunali, aveva conseguito l´aggiudicazione.
Ricostruite le posizioni delle parti, il Consiglio ha ritenuto che la sentenza appellata, riguardo all´accoglimento del ricorso introduttivo, meritasse conferma.
In proposito, ha rilevato che ai sensi dell’art. 37 commi 18 e 19, del Codice dei contratti (nel testo integrato dal d.lgs. 113/2007), quando una misura interdittiva antimafia colpisce un’impresa mandante o mandataria di un r.t.i., è consentito all´Amministrazione di proseguire il rapporto di appalto con l’impresa superstite (naturalmente, alle condizioni del possesso dei necessari
requisiti di qualificazione richiesti dal bando).
Secondo il Collegio, sembra quindi corretto desumere l´esclusione di qualsiasi “automatica” considerazione della sussistenza di rischi di infiltrazione mafiosa in capo ad una impresa per il solo fatto che si fosse associata ad altra impresa ritenuta controindicata; e ritenere, conseguentemente, che la “vicinanza” tra una impresa controindicata ed una impresa oggetto di valutazione nel procedimento volto alla definizione di un provvedimento interdittivo vada apprezzata caso per caso, in relazione alle concrete vicende collaborative tra le due imprese, che vanno adeguatamente
approfondite allo scopo di accertare la sussistenza di fattori oggettivi di condizionamento, non della impresa controindicata rispetto a quella in valutazione, ma da parte delle medesime organizzazioni criminali che hanno compromesso la posizione della prima.
Nel caso in esame, seppure fosse innegabile che l’interdittiva non offrisse alcuna indicazione specifica e non scaturisse da un autonomo accertamento istruttorio, idoneo a dar
conto di effettivi tentativi di infiltrazione mafiosa a suo carico, e che le circostanze indicate nell’interdittiva attenessero esclusivamente alla partecipazione al r.t.i. ed alla società consortile conseguentemente costituita, ciò non di meno tali partecipazioni sono avvenute in un momento in cui la ditta Alba Paciello (partecipata per il 40% dalla mandataria) era in possesso di certificazione antimafia.
Così dichiarando, in linea di diritto, che se una misura interdittiva colpisce un´impresa mandante o mandataria di un r.t.i., l´Amministrazione può proseguire il rapporto di appalto con l´impresa superstite con esclusione di ogni "automatismo" riguardo possibili presunzioni di sussistenza di rischi di infiltrazione fondati sulla mera circostanza che l´impresa fosse associata ad altra impresa ritenuta controindicata.
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