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"Ma che stai a di'? Non vedi che so' tutte cozze a parte la zinnona?"

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 Quasi tutte le ragazze della comitiva si muovevano bene, con quella sensualità acerba tipica delle adolescenti, tranne Maria Laura, che dimostrava un'imbarazzante sordità ritmica e ballava praticamente scollegata dal suono della musica.

I ragazzi invece per il momento avevano preferito limitarsi a guardare – sia le loro amiche che le altre, soprattutto le altre – tenendosi a qualche metro di distanza.

All'improvviso, provenienti dal centro della pista, si materia­lizzarono cinque o sei ragazzi che si stavano avvicinando a Simo­na. Non potevano esserci dubbi su quale fosse il loro obiettivo ultimo.

Erano abbronzati e sudati e ballavano tenendo una bottiglia di birra in mano. Continuavano ad avvicinarsi lentamente, come squali che hanno puntato la preda. Sembrava quasi ballassero controvoglia; si limitavano a muoversi al ritmo della musica, but­tando giù ogni tanto un sorso di birra.

Sergio seguiva preoccupato quella lenta manovra di avvicina­mento, indeciso se intervenire o meno. "E questi da dove cazzo spuntano?", chiese nervoso agli amici.

"Vedi se stasera non finisce male", commentò di rimando Ciccio.

"Ecco cosa succede se ti metti a ballare come una cretina", disse ancora Sergio, senza specificare se quella sua osservazione si riferisse a tutte le amiche in generale o a qualcuna in partico­lare.

 Intanto, il gruppetto di giovani aveva raggiunto le ragazze e aveva cominciato a ballare davanti a loro, in modo abbastanza volgare, dissipando così ogni residuo dubbio sulle loro effettive intenzioni.

A quelle ragazzine, per la verità, non era certo sfuggita la ma­novra di aggiramento, tuttavia, invece di preoccuparsene, si era­no tutte sentite lusingate, nessuna esclusa.

Avrebbero potuto facilmente evitare qualsiasi problema: sareb­be forse bastato allontanarsi e raggiungere in fretta gli amici, che stavano a pochi metri da loro. Ma non lo fecero, o almeno non subito. Dopo aver ballato qualche minuto davanti a quei ragazzi, magari a qualcuna di loro era pure scappato un mezzo sorriso, era ormai troppo tardi per sganciarsi. Quando infatti, dopo aver con­fabulato per qualche secondo, smisero tutte insieme di ballare e si avviarono verso i loro amici, furono subito apostrofate.

"Ehi, dove scappate? Volete bere qualcosa con noi?", chiese loro un tizio dall'accento romano, con i capelli lunghi e il fisico scolpito.

Le ragazze non si voltarono e non risposero alla domanda, ma questo non bastò per scoraggiare il giovane e i suoi amici.

"Prima ci provocate e poi scappate!", le incalzò un secondo tizio, con un vistoso tatuaggio sul braccio. "Mica ve starete a caca' sotto vero? Oppure ve la state a tira'?"

"Ma che stai a di'? Non vedi che so' tutte cozze a parte la zinnona?", intervenne di nuovo il primo. "A zinnona, ce lo dai un bacio? O magari qualcos'altro, se preferisci…".

Il resto del gruppetto si mise a ridere, ripetendo in coro: "Ce la dai o no, ce la dai sì o no?".

A quel punto, visto il tipo di approccio era chiaro che il loro interesse non era certo quello di rimorchiare quelle ragazzine. Volevano soltanto dar loro fastidio, mettersi alla prova, nella spe­ranza magari di poter menare le mani con qualcuno.

Non potevano non essersi accorti che le ragazze non erano sole e che i loro amici le stavano aspettando lì vicino.

"Non si può vivere senza menare!", aveva sentenziato poco prima di entrare alla festa Luca, quello che aveva parlato per pri­mo. Il nome completo per la verità era Gianluca Aloisi di Riva­grossa. Aveva venticinque anni ed era figlio di un noto avvocato romano. Veniva dall'Olgiata, il quartiere delle ville: in pratica, una piccola cittadella fortificata nella quale vivevano ricchi e ricchis­simi. Presto avrebbe seguito le orme del padre, anche se per il momento era un po' indietro con gli esami all'università. Era iscritto alla facoltà di Giurisprudenza della LUISS, una delle uni­versità private di Roma, e si trascinava stancamente al secondo anno fuori corso, con ancora una decina di esami da superare. Per non parlare della tesi, è ovvio, anche se probabilmente quella se la sarebbe fatta fare su commissione da qualcuno, magari gra­tis da qualche assistente del padre.

Anche gli altri provenivano dall'Olgiata e avevano più o meno la stessa estrazione sociale: tutti figli di professionisti, pieni di soldi e con un brillante futuro davanti.

 Luca aveva capito subito che quella sera ci sarebbe stato da di­vertirsi. Si era immediatamente accorto che le ragazze non erano sole, anche perché erano troppo giovani per andare da sole a una fe­sta del genere e, dopo un rapido sguardo, aveva concluso che i loro accompagnatori dovevano trovarsi in quel gruppo di sfigati lì vici­no, quelli verso cui le ragazze si stavano ora rapidamente dirigendo.

Una veloce analisi tra costi e benefici gli aveva consentito di capire che contro quei ragazzini avrebbe avuto vita facile.

Del resto, il mondo funziona così: per quanto assurdo possa sembrare, c'è qualcuno che si diverte soltanto se può rompere le scatole al prossimo.

Sergio e gli altri questo lo avevano capito subito. Era già capi­tato altre volte, in alcuna delle quali loro avevano assunto le vesti dei cattivi di turno.

"Mannaggia a 'ste stronze, adesso vedete se non ci tocca liti­gare", esclamò Francesco preoccupato.

"State calmi e fate parlare me", provò a tranquillizzarli Carlo, il Coccia, cercando di valutare mentalmente quante possibilità avessero di cavarsela in caso fosse scoppiata una rissa.

"Questi ce stanno a segui'", annunciò Manuela non appena fu a portata di voce.

"Cercate di non litigare per favore!", aggiunse Silvia, una di quelle che si era aggregata alla comitiva all'ultimo momento e che già s'immaginava costretta a dover spiegare ai genitori il mo­tivo per cui si era trovata in mezzo a una rissa.

"Chi sono 'sti mezzi coglioni?", esordì Luca quando gli fu di fronte, tanto per chiarire subito le sue intenzioni pacifiche.

"Mica ve farete scopa' da sti' froci?", aggiunse per non essere da meno Cristiano, quello col tatuaggio, sperando di provocare qualche reazione.

"Ragazzi, non vogliamo litigare", disse in tono conciliante Carlo, che in realtà stava solo cercando di guadagnare tempo preparandosi a colpire per primo. "Fateci stare per conto nostro, per favore".

"Per favore, per favore", ripeté cantilenando in falsetto Luca. "Per favore un cazzo. Prima queste ballano come zoccole e voi ve ne state muti, poi fate pippa perché ve state a caca' addosso".

"Ci fate schifo, siete la vergogna della festa!", intervenne Cri­stiano, anche lui ormai sicuro che a quel punto nessuno di quei ragazzini avrebbe più potuto tirarsi indietro senza perdere la fac­cia.

Tuttavia, proprio quando Carlo stava finalmente per reagi­re, intervenne Lisca. Era da tanto che aspettava quel momento. Adesso avrebbe finalmente potuto dimostrare a tutti, soprattut­to a Simona, che lui non era un bamboccio, ma un uomo vero, uno che sa farsi rispettare, uno che non accetta prepotenze da nessuno.

Eppure era nervoso e spaventato. Non era un picchiatore, né una persona cui piaceva litigare, mentre quelli avevano tutta l'aria di sapere come e quando menare le mani. Lui invece non aveva nessuna esperienza di risse, anzi peggio, non ricordava di avere mai litigato seriamente in vita sua.

Purtroppo, quel qualcosa che aveva dentro da tanto tempo lo costrinse a parlare.

E fu allora, forse, che si compì il suo destino.

 

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