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"In questo paese l'assoluzione è un'infamia". Caiazza: "Comprendo familiari ma condanno ministri"

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Una sentenza, quella della Corte d'Assise d'Appello di Roma sul caso Vannini, che sta dividendo in due l'opinione pubblica. Anche se non sono ancora state depositate le motivazioni di una decisione comunque inaspettata e, a tratti, incomprensibile, da un lato la riduzione della pena a soli 5 anni e dall'altro i toni minacciosi con cui il presidente della Corte ha ritenuto di rivolgersi alla madre di Marco, che protestava alla lettura del dispositivo, hanno diviso in due il paese, con una netta maggioranza, in verità, che  apertamente criticato la sentenza è l'atteggiamento dei giudici.

Una tra le voci non allineate all'opinione prevalente è quella del presidente delle camere penali, Gian Domenico Caiazza, che sul suo profilo Facebook e su quello istituzionale dell'associazione ha pubblicato una riflessione che volentieri ospitiamo anche in questo portale.

La violenta protesta delle parti civili di un processo per omicidio colposo l'altro ieri in Corte di Appello di Roma, alla lettura della sentenza che confermava la condanna dell'imputato riducendo però la pena, può essere meglio letta richiamando alla memoria altra vicenda giudiziaria recente.

Qualche settimana fa un Giudice monocratico di Avellino pronunzia sentenza relativa al drammatico incidente nel quale morirono ben quaranta passeggeri di un pullman turistico che, perso il controllo, sfondò il parapetto di un viadotto autostradale, precipitando nel vuoto.

Dopo lunghe indagini ed approfondito dibattimento, quel Giudice condanna per omicidio colposo plurimo, disastro colposo e falso (per la revisione dell'autobus) a 12 anni di reclusione il proprietario del pullman, la cui rottura dei freni aveva causato la strage; ad otto anni un funzionario della motorizzazione civile responsabile della revisione del mezzo; due dirigenti di Autostrade a sei anni ed altri quattro a cinque anni. Altri sette dirigenti sono assolti, tra i quali l'Amministratore Delegato di Autostrade d'Italia Giovanni Castellucci. Ovviamente, le richieste risarcitorie delle parti civili sono state accolte, il risarcimento assicurato. Risultato? Si scatena l'inferno. Le parti civili esplodono in una protesta veemente ed incontenibile, al punto che giudice ed avvocati sono costretti ad asserragliarsi nell'aula, in attesa dell'intervento delle forze dell'ordine. Impressionanti le minacce e gli insulti nei confronti del giudice, riportate da tutta la stampa: "vergogna, assassini, venduti, questa sentenza è un'infamia", e così via.

L'innesco non è l'assoluzione di sei dei tredici dirigenti imputati, ma del settimo, il più alto in grado di essi, l'Amministratore Delegato. Si consideri che, ovviamente, l'assoluzione di uno o di alcuni dei tredici imputati, stante la severa condanna degli altri, non ha comportato nessun pregiudizio per le parti civili, i cui (incommensurabili) danni non subiranno una lira di detrimento.

La reazione, dunque, non muove da un danno processuale subito, ma dal fatto in sé che l'Amministratore Delegato di Autostrade sia stato assolto. La stampa dà grande risalto alla reazione dei familiari delle vittime, e la notizia passa come una infame ingiustizia. Non contano le condanne, ma solo quella assoluzione. Non c'è un argomento razionale che si sforzi di spiegare per quale motivo quella sentenza sarebbe stata giusta solo se avesse condannato chi, per ovvie ragioni, delega dirigenti di grado inferiore e specialistico ad occuparsi della manutenzione di uno specifico tratto di strada. Le parti offese pretendono una giustizia simbolica, che prevede la condanna INNANZITUTTO dell'Amministratore Delegato di Autostrade.

La politica rispecchia, fa propria e rilancia questa assurdità. Di Maio si dichiara solidale con chi "si sente dire dallo Stato che non esiste un colpevole per la morte" dei suoi cari; e promette la revoca della concessione ad Autostrade. Incredibile, no? La mancata condanna del perfetto "capro espiatorio", del simbolo, trasforma una pesante sentenza di condanna di sette imputati a pene tra i cinque ed i dodici anni in una assoluzione. Anche Salvini protesta contro una sentenza che "assolve chi ha la responsabilità dei morti".

Per la triste vicenda di Ladispoli non si parla nemmeno di assoluzioni, ma solo di riduzione di pena. E tuttavia: urla, grida, minacce, quei giudici gettati in pasto al pubblico ludibrio. Nessuno pensa almeno di dover spiegare quando, come e perché una pena sarebbe sufficiente o insufficiente, giusta o ingiusta. E di nuovo, la Politica vomita indignazione e rabbia. Il Ministro di Giustizia si contiene, ma invita la mamma della vittima al Ministero.
Morale della favola: questo è il Paese dove la circostanza che un processo si concluda con una assoluzione, o anche solo con una riduzione di pena, è vissuta come una sconfitta della Giustizia, una infamia che grida vendetta. Non si conosce il processo, né si pensa di dover almeno attendere la lettura delle motivazioni di quelle sentenze, per esprimere un giudizio. Gli imputati sono tutti presunti colpevoli, l'assoluzione è un impazzimento della dea bendata.

Tutto comprensibile, quando ad urlarlo sono le parti civili, le vittime, madri padri fratelli e sorelle straziate dal dolore. Ma che lo facciano due Ministri della Repubblica, dà la misura dell'abisso di inciviltà giuridica nel quale sta precipitando questo nostro Paese.

 

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