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Il tentativo di conciliazione quale strumento del giudice con funzione deflattiva

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Inquadramento normativo: Art. 185 c.p.c.; Art. 420 c.p.c.

Il tentativo di conciliazione: Il giudice istruttore, alla prima udienza, può disporre la comparizione personale delle parti al fine di tentare la conciliazione. In tali casi, le parti possono farsi rappresentare anche da un procuratore che, però, deve essere:

  • a conoscenza dei fatti di causa;
  • munito di procura conferita per atto pubblico o scrittura privata autenticata; procura, questa, che deve attribuire al procuratore medesimo il potere di conciliare e transigere.

«La mancata conoscenza, senza giustificato motivo, dei fatti della causa da parte del procuratore è valutata ai sensi dell'art. 116, comma 2, c.p.c. Il tentativo di conciliazione può essere rinnovato in qualunque momento dell'istruzione».

La ratio del tentativo di conciliazione: Il tentativo di conciliazione è un importante strumento per il giudice perché il ricorso a esso è finalizzato a evitare che tutte le controversie debbano necessariamente concludersi con sentenza. In questa prospettiva, pertanto, il giudice, dopo aver esaminato attentamente gli atti di causa, può decidere di «formulare una proposta ragionata la quale mira ad anticipare criteri di giudizio e quantificazioni che verosimilmente potrebbero essere utilizzati al momento della decisione, si da ridurre i tempi di definizione del contenzioso». In questi casi, le parti, sebbene non siano obbligate ad accettare la proposta prospettata dal magistrato, potrebbero rendersi conto anticipatamente dei criteri sulla base dei quali, molto probabilmente, il giudice deciderà e fonderà la sua decisione. 

Con l'ovvia conseguenza che il comportamento della parte che rifiuta la proposta potrebbe:

  • causare il prolungamento dei tempi del giudizio con l'inutile protrazione della controversia e lo svolgimento di attività istruttoria che si sarebbe potuta evitare;
  • configurare un'ipotesi di responsabilità processuale ai sensi dell'art. 96 c.p.c.

(Tribunale Pistoia, sentenza 30 gennaio 2018).

Cosa accade se le parti conciliano dinanzi al giudice? Se le parti conciliano dinanzi al giudice, viene redatto processo verbale. Detto verbale ha efficacia esecutiva e può essere azionato anche senza apposizione della formula esecutiva (Tribunale Pordenone, sentenza 7 maggio 2018). In buona sostanza, «pur non avendo la conciliazione raggiunta la stessa efficacia della sentenza passata in giudicato, non v'è dubbio che il predetto processo verbale abbia effetti esecutivi, assimilabili secondo la giurisprudenza a quelli di un titolo contrattuale esecutivo» (Cass., nn. 4564/2014; 6333/1987, richiamate da Tribunale Pordenone, sentenza 7 maggio 2018). La conciliazione giudiziale, infatti:

  • da un lato, ha l'effetto processuale di chiusura del giudizio nel quale interviene;
  • dall'altro, ha gli effetti sostanziali derivanti dal negozio giuridico contestualmente stipulato dalle parti

(Cass, n. 25472/2017, richiamata da Tribunale Roma Sez. lavoro, sentenza 20 marzo 2018).

Ne consegue che ove oggetto del giudizio e, quindi, della conciliazione giudiziale, sia l'adempimento di un obbligo, se la parte obbligata non adempie, nonostante abbia sottoscritto il processo verbale di conciliazione dinanzi al giudice, la controparte interessata può procedere in via esecutiva in forza di tale titolo senza instaurare un nuovo giudizio di cognizione. «Tale principio, già pacifico con riferimento alle obbligazioni pecuniarie, all'esecuzione in forma specifica e all'esecuzione per consegna e rilascio (Cass., n. 258/1997, richiamata da Tribunale Pordenone, sentenza 7 maggio 2018), è stato di recente ribadito anche con riferimento agli obblighi di fare e di non fare, in relazione ai quali era stata posta questione di costituzionalità» (Corte Cost., n. 336/2002, richiamata da Tribunale Pordenone, sentenza 7 maggio 2018).

Conciliazione nel processo del lavoro e i diritti del lavoratore: «La previsione dell'art. 2113 c.c., che prevede la impugnabilità delle rinunzie e transazioni aventi ad oggetto diritti del prestatore di lavoro derivanti da disposizioni inderogabili della legge o dei contratti o accordi collettivi concernenti i rapporti di lavoro [...] non trova applicazione per le conciliazioni giudiziali [...]» (Cass. nn.9241/1991; 2146 /2011; 9120/2015, richiamate Tribunale Firenze Sez. lavoro, sentenza 12 luglio 2016). La ratio di ciò sta nel fatto che si ritiene che i diritti del lavoratore siano garantiti in questo tipo di conciliazioni ad opera dell'assistenza del giudice (Cass. civ. Sez. lavoro, n. 21617/2018). 

 

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