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Il rispetto dei doveri di fedeltà e di difesa degli avvocati: tra prassi e giurisprudenza

Il rispetto dei doveri di fedeltà e di difesa degli avvocati: tra prassi e giurisprudenza

La professione forense, il dovere di fedeltà e di difesa

Nell'esercizio della professione forense, l'avvocato deve svolgere l'incarico ricevuto dal suo assistito fedelmente al mandato conferitogli. Il professionista, infatti, non può svolgere la sua attività prescindendo dalla tutela dell'interesse del suo cliente in quanto, ove la sua condotta professionale prescindesse da tale tutela, costituirebbe una violazione del diritto di difesa; un diritto, questo, dal rilievo costituzionale e sociale [1]. In buona sostanza, l'avvocato ha il dovere di fedeltà verso il cliente e, nell'attività giudiziale, deve ispirare la propria condotta all'osservanza del dovere di difesa [2]. I doveri in questione sono posti a tutela della collettività e la loro violazione costituisce illecito deontologico. E ciò in considerazione del fatto che, «nell'espletamento del mandato affidatogli dal cliente, l'avvocato contribuisce all'attuazione dell'ordinamento giuridico ingenerando affidamento nei terzi. Pertanto, l'avvocato che violi le norme generali a tutela della collettività commette illecito deontologico laddove, contravvenendo all'impegno assunto di esercitare l'attività professionale nel rispetto dei doveri che la funzione impone per i fini della giustizia e secondo i principi dell'ordinamento, non impronti la propria condotta al rispetto e alla salvaguardia dei diritti, così recando disdoro non solo alla sua reputazione, ma anche alla dignità dell'intera classe forense, pregiudicando la tutela dell'affidamento che i cittadini devono poter riporre nell'avvocato» (CNF, n. 69/2013). 

I doveri di fedeltà e di difesa nella prassi e nella giurisprudenza

Si ritiene che pone in essere un comportamento disciplinarmente rilevante e contrario al dovere di fedeltà e fiducia l'avvocato che:

  • gestisce «una causa in modo del tutto indipendente dal rapporto con il cliente e dalla tutela dei suoi interessi, concordando tutta l'attività con un soggetto terzo e senza avere mai un rapporto diretto con la parte assistita» (CNF, n. 100/2019);
  • fa sottoscrivere al cliente un foglio in bianco apparentemente finalizzato al conferimento di un ulteriore mandato alle liti e che, in realtà, viene utilizzato per farsi riconoscere i) un compenso pari al 35% dell'eventuale importo liquidato in sentenza a favore del cliente medesimo, ii) il pagamento di spese di giustizia non dovute (Consiglio distrettuale disciplina di Perugia, decisione del 12 giugno 2017);
  • incaricato della difesa e assistenza di un cliente assoggettato, contro il suo volere, a trattamenti psichiatrici obbligatori, anziché procedere con atti giudiziari necessari e finalizzati a una valutazione adeguata della situazione, attraverso anche un supporto medico-scientifico indispensabile nell'assistere il suo cliente nel miglior modo possibile, «si adoperi esclusivamente in via stragiudiziale, richiedendo anche l'intervento di associazioni, aventi scopi non scientifici, per aiutarlo a sottrarsi alle cure psichiatriche, ritenute ideologicamente distruttive, e di fatto lasciandolo privo di difesa tecnica» (CNF, n. 194/2012);
  • che falsifica gli atti giudiziari e li utilizza per celare al suo cliente la mancata attività professionale commissionatagli (CNF, 189/2017).

Si ritiene, inoltre, contrario ai doveri sia di fedeltà che di fiducia, il comportamento di quell'avvocato che riporta nell'atto giudiziario la giurisprudenza contraria alla tesi sostenuta a favore del proprio cliente. Con l'ovvia conseguenza che sarà illogica la valutazione espressa dalla Commissione e dalle Sottocommissioni d'esame per l'abilitazione all'esercizio della professione di avvocato che dichiari la prova dell'atto giudiziario non superata perché mancante della menzione dell'orientamento giurisprudenziale contrario alla tesi sostenuta. E ciò in considerazione del fatto che «è del tutto fuori luogo pretendere che in un atto giudiziario l'avvocato potenzialmente pregiudichi o comunque indebolisca la posizione del proprio assistito riportando la giurisprudenza contraria alla tesi che ne supporta la domanda, lambendo con ciò gli stessi limiti dei doveri in questione» (C.d.S., n. 4652/2012).

Note:

[1] Art. 10 Codice deontologico forense:

«L'avvocato deve adempiere fedelmente il mandato ricevuto, svolgendo la propria attività a tutela dell'interesse della parte assistita e nel rispetto del rilievo costituzionale e sociale della difesa».

[2] Art. 46 Codice deontologico forense:

«1. Nell'attività giudiziale l'avvocato deve ispirare la propria condotta all'osservanza del dovere di difesa, salvaguardando, per quanto possibile, il rapporto di colleganza». 

 

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