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Con l'ordinanza 2294/2022, la Suprema Corte di Cassazione ha dichiarato legittimo il licenziamento disciplinare giustificato in riferimento al rifiuto del lavoratore di sottoporsi alla visita medica prodromica alla sua assegnazione a nuove mansioni, sottolineando che tale legittimità non è inficiata dalla circostanza che le nuove mansioni non siano confacenti alla professionalità del lavoratore stesso. Infatti, ha proseguito la Corte, da un lato il datore di lavoro ha l'obbligo di adeguarsi alle prescrizioni della legge per la tutela delle condizioni fisiche dei lavoratori nell'espletamento delle mansioni loro assegnate e, dall'altro, l'ordinamento riconosce al dipendente la possibilità di impugnare innanzi agli organi competenti sia l'esito della visita, qualora non condiviso, sia un eventuale illegittimo demansionamento.
Fatto.
Un'impiegata amministrativa di una società di servizi si rifiutava di sottoporsi alla visita medica disposta dall'azienda in vista della sua assegnazione alle differenti mansioni di addetta alle pulizie.
L'azienda, dopo l'invio alla lavoratrice di una lettera di contestazione disciplinare, recedeva per giusta causa, ritenendo che la richiesta di sottoposizione a visita medica fosse conforme alla legge e che il rifiuto dovesse reputarsi illegittimo e non giustificato.
La lavoratrice impugnava il licenziamento e, rimasta soccombente sia in primo che in secondo grado, ricorreva in Cassazione.
Con il primo motivo la ricorrente sosteneva che la visita medica disposta dall'azienda avesse la sola finalità di accertare l'idoneità della lavoratrice non allo svolgimento delle mansioni già assegnate e in corso di svolgimento, come previsto dall'art. 5 della legge n. 300/1970, bensì l'idoneità a svolgere nuove e ben diverse mansioni lavorative assegnatele illegittimamente, per cui la fattispecie concreta non era sussumibile in quella normativamente prevista in quanto non avrebbe dovuto essere considerato solo il fatto oggettivo del cambio di mansioni, ma anche quello finalistico della illegittimità del nuovo incarico.
Con il secondo motivo rilevava l'insussistenza della giusta causa di licenziamento, reputando che la corte Territoriale non avesse considerato, ai fini dell'accertamento della sussistenza della giusta causa, da un lato, l'elemento soggettivo del comportamento connotato da buona fede e, dall'altro, la sproporzione della sanzione inflitta rispetto alla condotta contestata.
La decisione della Corte di Cassazione.
Quanto al primo motivo di ricorso, gli Ermellini hanno ricordato che la visita medica di idoneità, in ipotesi di cambio delle mansioni, è prescritta per legge e, dunque, è un adempimento dovuto.
Nella fattispecie sottoposta allo scrutinio della Cassazione - prosegue l'ordinanza in considerazione - non solo il datore di lavoro si era limitato ad adeguare la propria condotta alle prescrizioni imposte dalla legge per la tutela delle condizioni fisiche dei dipendenti nell'espletamento delle mansioni loro assegnate - dacchè la legittimità della richiesta al lavoratore di sottoporsi a visita medica - ma il dipendente avrebbe ben potuto impugnare un eventuale esito della visita, qualora non condiviso, ovvero l'asserito illegittimo demansionamento, innanzi agli organi competenti, ragion per cui bene avevano fatto i giudici di meritoa dichiarareingiustificato il rifiuto opposto dal lavoratore.
Nell'ordinanza in commento, la Corte ha ricordato che l'art. 1460 cc - invocato dal ricorrente a sostegno della legittimità del rifiuto di sottoporsi alla visita medica - è applicabile solo in caso di totale inadempimento del datore di lavoro o in ipotesi di gravità della condotta tale da incidere in maniera irrimediabile sulle esigenze vitali del lavoratore medesimo.
Stante l'obbligatorietà del preventivo accertamento delle condizioni fisiche del lavoratore ai fini del mutamento di mansioni, la configurabilità del grave inadempimento è stata perciò esclusa anche dagli Ermellini.
Quanto al secondo motivo di impugnazione, la Cassazione ha ribadito che la giusta causa di licenziamento, che deve rivestire il carattere di grave negazione degli elementi essenziali del rapporto di lavoro e, in particolare, dell'elemento fiduciario, integra una clausola generale che richiede di essere concretizzata dall'interprete tramite valorizzazione dei fattori esterni relativi alla coscienza generale e dei principi tacitamente richiamati dalla norma, quindi mediante specificazioni che hanno natura giuridica e la cui disapplicazione è deducibile in sede di legittimità come violazione di legge, mentre l'accertamento della ricorrenza concreta degli elementi del parametro normativo si pone sul diverso piano del giudizio di fatto demandato al giudice del merito e incensurabile in Cassazione se privo di errori logici e giuridici.
La Suprema Corte ha ritenuto che il vizio lamentato dal ricorrente appartenesse a tale ultima categoria e, pertanto, lo ha dichiarato inammissibile.
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Paola Mastrantonio, avvocato; amante della libertà, della musica e dei libri. Pensiero autonomo è la mia parola d'ordine, indipendenza la sintesi del mio stile di vita. Laureata in giurisprudenza nel 1997, ho inizialmente intrapreso la strada dell'insegnamento, finché, nel 2003 ho deciso di iscrivermi all'albo degli avvocati. Mi occupo prevalentemente di diritto penale. Mi sono cimentata in numerose note a sentenza, pubblicate su riviste professionali e specializzate. In una sua poesia Neruda ha scritto che muore lentamente chi non rischia la certezza per l'incertezza per inseguire un sogno. Io sono pienamente d'accordo con lui.