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Il Comune può negare il rimborso dei tributi locali Tarsu, Tares e Tari al contribuente che dopo averli pagati spontaneamente si accorge che non erano dovuti?

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Riferimenti normativi: Art.1, c.164, L. n.296/2006 - Art.19 D.Lgs.n.546/92

Focus: Il pagamento spontaneo di un tributo locale preclude il diritto del contribuente alla restituzione delle somme non dovute? Sulla questione si è pronunciata la Commissione tributaria regionale della Lombardia con la sentenza n.4084/13 dell'11/11/2021.

Principi generali: Il contribuente può far valere il suo diritto al rimborso dei tributi locali versati non dovuti presentando un'istanza all'ente impositore, ai sensi dell'art.1, comma 164, della Legge n.296/2006 che così recita: "Il rimborso delle somme versate e non dovute deve essere richiesto dal contribuente entro il termine di cinque anni dal giorno del versamento, ovvero da quello in cui è stato accertato il diritto alla restituzione. L'ente locale provvede ad effettuare il rimborso entro centottanta giorni dalla data di presentazione dell'istanza". A seguito dell'istanza di rimborso ricevuta, l'ente locale impositore analizzerà la situazione del contribuente e, in caso di rifiuto espresso o tacito della restituzione di tributi non dovuti, il contribuente potrà impugnare il diniego di rimborso ai sensi dell'art.19 del D.Lgs.n.546/92. Il caso sottoposto all'attenzione della Commissione tributaria regionale della Lombardia, pronunciatasi con la sentenza n.4084/13 dell'11/11/2021, è scaturito dal diniego di rimborso di somme non dovute, pagate spontaneamente dal contribuente e non a seguito del ricevimento di un atto impositivo. 

In particolare, una società s.n.c. aveva presentato ricorso dinanzi alla Commissione tributaria provinciale avverso il diniego di rimborso da parte del Comune delle maggiori somme versate dalla società dal 2012 al 2017, a titolo di Tares, Tari e Tarsu, in relazione ad unità immobiliari a servizio dell'azienda vitivinicola. l diniego era seguito all'istanza di rimborso inoltrata dalla società al Comune nell'anno 2018 perché solo successivamente al pagamento dei versamenti per gli anni dal 2012 al 2017 la società si era accorta che i pagamenti erano parzialmente indebitiInfatti, la società aveva pagato i tributi sulla base della comunicazione ricevuta dal Comune che, nel determinare l'entità del tributo indicato, aveva attribuito alla superficie complessiva dell'immobile la stessa categoria di utenza non domestica senza fare distinzione tra gli spazi adibiti ad attività commerciali ed i restanti locali adibiti ad attività di lavorazione e stoccaggio. La società aveva dimostrato l'errore commesso ai suoi danni con documenti allegati al ricorso dai quali si rilevava che nel 2011 la stessa aveva inoltrato all'ente impositore una dichiarazione certificata, di inizio e modifica di attività produttive, con la quale comunicava al Comune lo spostamento del locale espositivo da un'ala all'altra di pari superficie, sempre nell'ambito del medesimo immobile, e il fatto che l'utilizzo di tali spazi non aveva subito alcuna variazione nel corso degli anni. Di conseguenza, la società aveva presentato l'istanza con cui chiedeva sia il ricalcolo della Tari dovuta per il 2018, applicando correttamente le tariffe in ragione dell'effettiva destinazione d'uso delle superfici, che il rimborso di quanto versato spontaneamente per gli anni dal 2012 al 2017, non essendo stata contestata l'effettiva destinazione d'uso delle superfici in relazione alle precedenti annualità. 

Il Comune, costituitosi in giudizio, eccepiva che i versamenti effettuati dalla società per gli anni in contestazione costituiscono acquiescenza della ricorrente al pagamento delle somme non dovute e, in quanto tale, l'acquiescenza è causa ostativa alla richiesta di rimborso a prescindere dall'intervenuto adeguamento del tributo per l'anno 2018 alla superficie indicata dalla contribuente. Il giudice di prime cure non riteneva che l'acquiescenza derivante dal pagamento spontaneo del tributo precludesse la possibilità di chiedere successivamente la restituzione dello stesso e, quindi, accoglieva il ricorso condannando il Comune al pagamento delle spese processuali. Quest'ultimo impugnava la sentenza con appello contestando il disconoscimento da parte dei giudici di prime cure dell'acquiescenza. La Commissione tributaria regionale richiamava la giurisprudenza della Corte di Cassazione la quale, con sentenza n. 5519/2009, aveva affermato che "i termini assegnati dal legislatore al contribuente per la presentazione della richiesta di rimborso presuppongono, comunque, che il pagamento del non dovuto (di cui si chiede la restituzione) sia avvenuto spontaneamente". Alla luce di ciò, secondo i giudici può ritenersi preclusa la restituzione di somme solo se il loro pagamento è stato effettuato in forza di un atto impositivo poi divenuto definitivo. Nel caso di specie, invece, la contribuente, aderendo ai principi di buona fede e di legittimo affidamento, aveva provveduto a versare al Comune i tributi come da quest'ultimo determinati con avviso di pagamento che ha natura di avvertimento non riconducibile al novero degli atti impositivi e/o riscossivi per ciascuna delle annualità 2012-2017, utilizzando i modelli di pagamento F24 nel rispetto delle scadenze previste dal Regolamento della tassa rifiuti del Comune. Conseguentemente, la Commissione tributaria regionale ha rigettato l'appello del Comune confermando la sentenza impugnata e compensando le spese processuali tra le parti.

 

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